È in arrivo una nuova generazione di device connessa al corpo degli atleti che renderà sempre più stretto il rapporto tra tecnologia e attività sportiva. A fare da traino a questo sviluppo sono startup, società sportive, investitori, player consolidati. Dietro a questa disruption annunciata, gli stessi driver che in questi anni hanno cambiato l’IT: big data, analytics, cloud e mobile. Dopo aver rivoluzionato il modo di produrre e comunicare, la digitalizzazione sta cambiando anche lo sport così come lo conosciamo, aprendo non solo nuove prospettive di engagement per gli appassionati di ogni disciplina, ma soprattutto di business e sviluppo

Forse c’è un modo per rendere il nostro campionato – e quelli di almeno un’altra mezza dozzina di paesi europei – più equilibrato e interessante. L’Università di Pisa e l’Istituto di Scienza e Tecnologie dell’Informazione del CNR hanno messo a punto PlayeRank un software per valutare in modo automatico la performance dei giocatori e scoprire così nuovi talenti – come ci racconta Paolo Cintia coordinatore assieme a Luca Pappalardo del gruppo di lavoro del CNR. «Per realizzarlo, abbiamo utilizzato un dataset di Wyscout, una delle aziende leader nello scouting di calciatori e nella produzione di dati relativi alle partite giocate. In pratica, i dati di diecimila partite sono stati dati in pasto a un cervello artificiale, addestrato per comportarsi come un osservatore. A questo “super agente” abbiamo chiesto di analizzare e valutare gli eventi – un tocco di palla, un passaggio, un tackle, un tiro, un’intercettazione, un colpo di testa, e così via – che hanno determinato la vittoria o la sconfitta della squadra».

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Al termine di questa fase di learning, gli esperti del CRN hanno costruito un modello in grado di restituirci il valore di ogni evento relativo alla performance atletica – «intesa come insieme degli eventi prodotti dai giocatori in campo». Il lavoro non si è fermato qui. Il team ha realizzato un motore di ricerca in grado di ordinare i dati immagazzinati e restituire un ordine di priorità come fa Google. «Per esempio – spiega Paolo Cintia – se sto cercando un attaccante di fascia sinistra, il motore è in grado di restituirmi come risultato il giocatore che secondo i dati è il migliore in quel ruolo. In questo modo, possiamo rispondere più velocemente alle ricerche fatte da osservatori, talent scout, allenatori, ma anche semplici appassionati. L’obiettivo infatti è di creare una piattaforma che soddisfi le richieste sia del professionista che del fan, permettendo alle società di calcio di ottimizzare il lavoro di gestione del talento e delle performance». L’indice relativo a ogni giocatore può essere raffinato nel tempo. Definendo e correlando le varie tipologie di eventi. «Siamo partiti dai dati presenti nel database di Wyscout. Ma nulla ci impedisce di creare delle combinazioni tra eventi per capire se possono fornirci maggiori informazioni. Per esempio, per ogni passaggio potrei valutare la direzione, il guadagno in termini di metri verso la porta avversaria. Oppure, analizzare in quale situazione è avvenuto, e quindi decidere di separare i due eventi in base alla situazione di gioco in cui sono maturati». Il numero di combinazioni e correlazioni possibili è molto alto.

«E ora che disponiamo del framework – continua Paolo Cintia – possiamo costruire nuove feature di ogni performance, pronte per essere subito valutate e inserite, se interessanti, nel modello di valutazione delle performance dei calciatori. In questo momento, per la parte tecnica possiamo affidarci a circa un centinaio di parametri. Mentre per la parte atletica sono circa 50». Da sempre, osservatori e allenatori sanno che il fuoriclasse può giocare anche in team non esattamente vincenti. Strumenti come PlayeRank renderanno più semplice individuare nuovi talenti, monitorarli ed eventualmente acquistarli. «Abbiamo impiegato la piattaforma software per analizzare i dati relativi a Mohamed Salah, ex giocatore della Roma (e grande colpo di mercato del Liverpool, la scorsa stagione) e tutti gli indicatori mostravano un trend prestazionale fortemente in crescita» – conferma Cintia. «Oggi, Salah si è avvicinato agli intoccabili, Messi, Ronaldo, Mbappé e Neymar». PlayeRank in questo senso si configura come uno strumento che potrebbe in futuro essere utilizzato per orientare le strategie di mercato. Evitando allo stesso tempo errori tipici come quello di valutare più favorevolmente i giocatori di squadre vincenti.

L’AI CHE PREVEDE GLI INFORTUNI

Il talento quando c’è però va anche preservato. Esattamente l’obiettivo di Injury Forecaster, un algoritmo che prevedere gli infortuni. Anche questa idea nasce dal CNR-ISTI e dall’Università di Pisa ed è stata sviluppata in collaborazione con la società Barcellona FC. Il sistema analizza tutti i dati, raccolti durante gli allenamenti da micro-localizzatori GPS, posizionati sulla pettorina dei giocatori e che registrano tutti i loro movimenti: accelerazioni, decelerazioni, spostamenti, scatti, velocità, urti assorbiti, cadute e via dicendo. «In collaborazione con un club professionistico italiano di serie B che ha preferito rimanere anonimo, siamo andati ad applicare l’intelligenza artificiale per riconoscere e per valutare il rischio d’infortunio in base al carico di lavoro sostenuto dall’atleta in un dato periodo» – spiega Cintia. «Con i dati raccolti abbiamo costruito un algoritmo in grado di restituire un quadro molto preciso dello stato fisico del calciatore». Già da qualche anno allenatori e preparatori atletici sono in grado di analizzare alcuni di questi parametri per stabilire i carichi di lavoro, calibrandoli a seconda delle indicazioni di un possibile infortunio dell’atleta. Tuttavia, si tratta di un metodo impreciso. Per ogni giocatore a rischio infortunio, questa metodologia genera almeno 19 falsi positivi. «Il nostro algoritmo valuta una cinquantina di parametri e raggiunge una precisione di circa il 50%. Il modello analizza le decine di variabili registrate dal device GPS, utilizzando un approccio multidimensionale in grado di tenere in considerazione – per esempio – sia le accelerazioni che le decelerazioni, gli scatti e i passaggi…».

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I risultati incoraggianti hanno spinto il team a proseguire nelle ricerche, includendo nuove società e club professionistici che hanno scelto di condividere e mettere a disposizione i loro dati. «L’obiettivo – ci dice Cintia – è di portare presto questo software sul mercato come strumento di aiuto per i preparatori atletici e allenatori per disegnare i cicli di allenamento in modo da valutare con precisione il carico di lavoro da assegnare ai calciatori, fornendo cioè un indicatore sintetico in grado di evidenziare se un certo giocatore è a rischio infortunio». Se per le sue caratteristiche PlayeRank non è poi così diverso dagli strumenti utilizzati nel settore finanziario per prevedere se e quando un titolo salirà, Injury Forecaster è il suo naturale completamento perché protegge un investimento sostenuto da un club calcistico. «Sulla base di uno studio condotto sul campionato spagnolo – spiega Cintia – abbiamo analizzato l’impatto economico degli infortuni, valutabile in centinaia di milioni di euro. Se una società ha un giocatore fermo, oltre ai mancati introiti ci sono le spese per le cure, la riabilitazione, e così via. Tutta una serie di valutazioni finanziarie che rendono questo tipo di approccio di notevole valore, proprio per il denaro che potrebbe far risparmiare. L’intelligenza artificiale può automatizzare e migliorare alcuni processi che di fatto servono proprio a contenere i costi».

SPORT TECH IN CRESCITA

Lo sport è un settore in forte espansione. Oltre ai ricavi derivanti da sponsor e diritti televisivi, da qualche anno, cresce anche l’interesse per l’innovazione tecnologica applicata allo sport. Come dimostra la rapida espansione del settore dello Sport Tech, alimentata dall’arrivo di venture capitalist disposti a scommettere milioni di dollari per far decollare le idee e i progetti d’impresa più promettenti. Come fa dal 2016 per esempio, Wylab, il primo “sports tech business incubator” in Italia che, sulla scia dell’esempio di Wyscout, punta a rappresentare un centro di eccellenza per lo sviluppo e la crescita di startup attive nel settore dello sport. Creato a Chiavari da Antonio Gozzi, imprenditore del settore siderurgico e presidente della squadra di calcio di serie B, Virtus Entella. «Wylab nasce dalla decennale esperienza di un gruppo di imprenditori nel settore della tecnologia al servizio dello sport, con l’obiettivo di creare una nuova generazione di imprese» – ci dice Vittoria Gozzi, CEO di Wylab. «Il nostro know-how ha fatto di Wyscout una società consolidata e riconosciuta a livello internazionale nel calcio professionistico. La nostra mission è di supportare l’inserimento sul mercato di iniziative imprenditoriali con un elevato tasso di innovazione e tecnologia legate appunto al mondo dello sport». Una scelta motivata da due ragioni. La prima – spiega Vittoria Gozzi – è di mettere a disposizione l’esperienza acquisita nel settore dello sport grazie al successo di Wyscout, al fine di supportare una nuova generazione di imprese volte a migliorare e supportare le attività di federazioni, tecnici, atleti e di tutti coloro che gravitano attorno al mondo dello sport. La seconda ragione è legata a un’opportunità di business – «la crescita a ritmi vertiginosi del settore, grazie allo sviluppo tecnologico dell’ultimo decennio». La domanda di innovazioni tecnologiche applicate allo sport non è un fenomeno nuovo. Ma negli ultimi anni sta conoscendo un vero e proprio boom. «La richiesta di software e soluzioni IoT per esigenze specifiche continua a crescere e copre ambiti diversi». Dalla manutenzione degli stadi ad applicazioni per monitorare la presenza di giocatori e addetti ai lavori sui social media – «le possibilità di innovazione sono enormi» – afferma Vittoria Gozzi.

Oltre un milione di euro di investimenti complessivi, quattrocento domande presentate dopo le tre “call for applications” e altre 200 dopo le prime due “call for ideas” per progetti territoriali, 27 startup incubate e 7 finanziate con 120mila euro di investimento. C’è Wesii specializzata nell’utilizzo di droni per stabilire lo stato di salute di impianti, manti erbosi, pannelli solari, destinataria di una prima tranche di investimenti pari a 250mila euro. E c’è Dynamitick startup che ha sviluppato un algoritmo per il ticketing dinamico, un concetto simile a quello dei biglietti aerei, che l’ha portata, dopo il progetto con la Virtus Entella, a stipulare contratti con due squadre di pallacanestro. Successi altrettanto importanti possono vantare SportClubby, titolare di un gestionale per le palestre, pensato per facilitare il contatto tra strutture sportive e clienti, e Noisefeed con un’applicazione di monitoraggio di social e notizie sul mondo calcio.

«Tutte aziende che vendono e fatturano» – afferma Vittoria Gozzi. «Dopo la validazione del prodotto e la verifica della sostenibilità del modello il passo successivo è di puntare alla crescita. Se necessario immettendo nuovi capitali. Se siamo soddisfatti del lavoro svolto? La nostra partecipazione al finanziamento si è valorizzata. Tutte le startup sono attive anche se il tasso di mortalità sappiamo essere alto. Abbiamo contribuito alla nascita del 10% di tutte le startup innovative della provincia di Genova. Si è creato un ecosistema dove prima non c’era. Siamo diventati un punto di riferimento per queste tematiche. Perciò sì, siamo soddisfatti di quanto realizzato fino a oggi» – conclude Gozzi, che presto come lei stessa ci anticipa lascerà l’incarico di AD a Federico Smanio, ex responsabile del digitale della Lega serie B, per andare a ricoprire la carica di presidente di Wylab.

LO SPORT SI TRASFORMA

Secondo i dati dell’Osservatorio Innovazione Digitale nell’Industria dello Sport del Politecnico di Milano a livello internazionale sono più di mille (1012) le startup attive in ambito “digital sport”, delle quali oltre il 60% (680) hanno raccolto finanziamenti per una cifra complessiva superiore ai 4 miliardi di dollari. Più della metà delle startup censite (395 su 686), si trova in Nord-America; seguono Europa (200) e Asia (53) con Africa, Oceania e Sud-America a spartirsi il resto della torta. In Italia, le startup sono circa 50 di cui 24 finanziate per circa 17 milioni di dollari, pari a un investimento medio vicino ai 700mila euro. Big data, IoT, AI, e più distanziata realtà aumentata e virtuale, le tecnologie più sfruttate per portare innovazione digitale in ambito sportivo. Le aree su cui si concentra lo sviluppo di servizi e prodotti sono il monitoraggio e il miglioramento delle performance atletiche, la gestione e l’ottimizzazione degli eventi sportivi, l’aumento del coinvolgimento e dell’esperienza dei fan, lo sfruttamento degli impianti sportivi e l’innovazione dei processi aziendali dei club. Non obiettivi nuovi nelle strategie delle società sportive. Ma che stanno ricevendo nuova linfa dalla diffusione delle nuove tecnologie.

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Non solo in termini di nuove applicazioni, ma anche nella progettazione di attrezzature tradizionali: una tendenza in forte crescita negli USA. In tutti gli sport più popolari, si sono da tempo concentrate le attenzioni dei big player del settore. Tre anni fa per esempio, Wilson ha lanciato l’X Connected Football, un pallone interfacciabile con pc e iPhone, al cui interno è alloggiato un microchip che calcola parametri come la distanza di tiro, la velocità di passaggio, la potenza e l’energia impiegate. Con la versione 2.0, prevista in uscita entro la fine dell’anno, il microchip sarà in grado di riconoscere i contatti irregolari degli atleti con braccia, mani oppure come nel basket piedi. Un oggetto simile con misurazioni specifiche per il basket è il 94Fifty Smart Sensor Basketball. In questo caso, il sensore monitora e invia in tempo reale i dati relativi al numero e alla forza dei rimbalzi, alla velocità di tiro e al rilascio della palla. Per il momento, né l’NFL né l’NBA hanno in previsione l’adozione dei palloni connessi, il cui impiego è limitato agli allenamenti. Ma la strada è segnata. Una nuova generazione di device – smart watch, visori AR/VR, wearable e calzature intelligenti, sensori per la diagnostica predittiva e il monitoraggio delle performance – sempre più connessa al corpo degli atleti renderà sempre più stretto il rapporto tra tecnologia e attività sportiva.

Secondo i dati IDC, il mercato dei wearable nel 2017 ha raggiunto il valore di 4,4 miliardi di euro in Europa e crescerà con un incremento medio annuo del 12% fino a raggiungere 7,7 miliardi. «La crescita del valore del mercato, oggi pari a 3,7 miliardi di euro, sarà guidata dagli smart watch che rappresentano l’85% del valore totale, mentre la spesa per i wristband fitness, i braccialetti smart, oggi pari a circa 600 milioni di euro, andranno incontro a una progressiva diminuzione» – ci dice Daniela Rao, senior director research and consulting di IDC Italia. Nell’affollato mondo degli smart watch, è in atto una corsa senza sosta al rilascio di nuove funzionalità. Da quelle più classiche – come il monitoraggio in tempo reale di alcuni parametri come forza, resistenza, tensione muscolare, calorie consumate – all’arrivo di sensori per il rilevamento della frequenza cardiaca 24/7, il monitoraggio del sonno, il tracciamento delle apnee notturne, del ciclo mestruale e del processo di ovulazione. «Nei prossimi anni – sottolinea Daniela Rao – vedremo gli smart watch evolvere da strumenti nati per fornire dati descrittivi in device sempre più sensibili al contesto e in grado di fornire dati prescrittivi». Non solo. La soglia tra fitness tracker e smart watch tenderà a sparire. Con applicazioni, pagamenti mobili, notifiche e interazioni con gli smartphone sempre più strette – «gli smart watch svolgeranno molte funzionalità chiave per la nostra vita quotidiana, soprattutto per il fitness e il benessere». Secondo le previsioni di IDC, il mercato dei wearable si trova a un bivio cruciale della sua breve storia, causato sia dall’evoluzione dei dispositivi che dalla domanda sempre più sofisticata da parte dei consumatori.

L’INNOVAZIONE DI AC MILAN

A spingere in direzione di nuovi investimenti e ricerche nel settore dello sport, contribuisce in modo determinate il crescente interesse di società, federazioni e organizzazioni sportive. Dai campi di calcio alle piste di Formula 1, società e federazioni si trovano a misurarsi con la necessità di affidarsi alla tecnologia e all’innovazione per migliorare le performance degli atleti, l’esperienza a livello di entertainment ed engagement di fan e follower, sfruttare al meglio gli impianti sportivi, di proprietà o in concessione. Nuovi interlocutori e soprattutto una massa crescente di dati a disposizione, rendono possibile ipotizzare che in futuro la spinta verso la digitalizzazione e il rinnovamento del settore muoveranno sempre più spediti. Il potenziale di mercato delle soluzioni digitali offre grandi opportunità a una nutrita filiera di stakeholder, e più in generale, le prospettive di sviluppo per lo sport 4.0 sono del tutto favorevoli. In Italia, però, buona parte di queste opportunità devono ancora essere colte dalle società sportive, che per anni – secondo l’analisi condotta dall’Osservatorio del Politecnico di Milano – hanno patito una generale carenza di competenze digitali, manageriali e di visione strategica. Arretratezza che fa sì che ancora oggi attività come la vendita dei biglietti oppure la cessione dei diritti di sfruttamento del brand e degli eventi sportivi, avvengano ancora in larga parte con modalità tradizionali.

In questo quadro, la società AC Milan rappresenta da sempre in Italia una delle realtà più impegnate a investire in tecnologia e innovazione. Tutti ricorderanno il pioneristico Milan Lab, progetto avviato nel lontano 2002, e le cui radici risalgono alla rivoluzione culturale iniziata più di dieci anni prima, con l’arrivo a Milanello di Arrigo Sacchi, cantore della qualità del gioco prima del risultato, e artefice – assieme a campioni come Baresi, Maldini, Gullit e Van Basten – del ciclo più vincente nella storia del club rossonero. Ebbene, uno dei lati meno noti al grande pubblico di quella serie infinita di successi è stato il lavoro atletico che lo staff tecnico del Milan iniziò a proporre ai giocatori. Sfociato appunto nel progetto Milan Lab che ha permesso di raccogliere una massa sterminata di dati grazie ai test svolti dai calciatori rossoneri. Dati che negli anni si sono rivelati preziosissimi nella gestione delle performance e degli infortuni. Oggi, si tratta di rivitalizzare quell’area e integrarla in una piattaforma al passo coi tempi. Perché questo tesoro di dati possa tornare a contribuire al raggiungimento di risultati importanti. In questo senso, la società Milan da circa un anno ha intrapreso un processo di riorganizzazione digitale oggi in buona parte conclusosi con successo. «L’esigenza primaria era quella di migrare tutti i sistemi informativi e le piattaforme IT dal datacenter Fininvest che aveva gestito per circa una trentina d’anni la società Milan su un nuovo datacenter DXC» – spiega Maurizio Bonomi, IT director AC Milan. «Così abbiamo iniziato una serie di attività volte alla razionalizzazione dell’infrastruttura e del parco applicativo. Contestualmente, abbiamo iniziato a lavorare su attività di convergenza tecnologica, prendendo la decisione di spostarci su tecnologia Microsoft in ambito 365 e per la gestione degli asset e la sicurezza, impostando un framework per proteggere meglio le postazioni di lavoro, i dispositivi mobili e la rete aziendale. Di recente, infine, abbiamo ultimato un nuovo share point online che diventerà la nuova intranet aziendale» – spiega Bonomi.

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Oltre che a portare risparmi sui costi di data center, questa riorganizzazione ha gettato le basi per progredire anche nel riallineamento del business alle innovazioni digitali. «Il Milan è una media company. Deve cioè essere in grado di valorizzare al meglio i contenuti digitali. Venduti a terzi attraverso le varie piattaforme televisive e non solo. Un mondo digitale costruito intorno al fans» – ci dice Lamberto Siega, digital director AC Milan. L’engagement – osserva Siega – può essere una leva per diversificare i ricavi, massimizzare gli introiti dei propri sponsor, fidelizzare i tifosi e catturarne di nuovi. «Il vero valore, la vera strategia di business, è riuscire a incrementare il più possibile la massa di follower e fan che seguono il club dall’Italia e nel mondo, per conoscere le loro necessità e preferenze, e attivare una serie di servizi in grado di creare valore per il Milan: dalle attività di ticketing ai servizi accessori allo stadio, dalle attività di e-commerce ai contenuti social, oggi gratuiti ma che molte squadre di calcio stanno valorizzando attraverso application a pagamento». Una strada battuta, con alterni risultati, anche da altre società di calcio italiane. Per le quali la sfida è di riuscire a elaborare una strategia digitale, anche attraverso partnership con fornitori esterni, che permetta di individuare priorità di investimenti e definire obiettivi raggiungibili sia a breve che nel medio periodo.

METTERE IN PISTA I DATI

La Formula 1 è uno degli sport più tecnologici, ma il successo si costruisce in squadra. Dopo l’esperienza come CIO di Lotus F1 durata sedici anni, Graeme Hackland è stato arruolato nelle file del team Williams come direttore IT. Alla domanda ricorrente: conta di più l’auto o il pilota? Hackland risponde: «Un team può arrivare a vincere una gara affidandosi solo al talento del pilota. Ma per vincere il campionato, bisogna affidarsi alla tecnologia – per costruire la macchina migliore – e all’analisi dei dati ad alta velocità – per mettere a punto la strategia migliore nel corso della stagione». Progettisti, tecnici, ingegneri e meccanici si affidano a soluzioni di performance analytics per dare alle loro auto un vantaggio vincente. La velocità sta definendo il nuovo standard della competizione sui circuiti internazionali. Per aziende come AT&T, Cisco, Dell EMC, Hitachi, HP, IBM, Intel, Lenovo, Microsoft, NetApp, Oracle, SAP, ma anche Vodafone, Kaspersky Lab e Symantec velocità e prestazione sono variabili della stessa funzione: l’innovazione. E non c’è posto sul podio per chi arriva dopo pochi decimi di secondo. Si può discutere se questa nuova F1 conservi lo stesso fascino di quella di Jim Clark o di Ayrton Senna. E forse in futuro, il campionato piloti sarà sostituito da quello costruttori, con vetture completamente automatiche.

Oggi, a bordo pista, per gestire il notevole carico di elaborazione dati, le squadre di ingegneri hanno rafforzato i loro sistemi di back-end per macinare terabyte di dati il più velocemente possibile e guadagnare quel fondamentale vantaggio di una frazione di secondo che decide l’esito della gara. Le scuderie hanno attinto a ogni soluzione informatica e nessun budget è stato risparmiato alla voce IT. Un ecosistema di analytics on the edge, sensori IoT, high-performance computing per prevedere scenari di gara a più variabili: gomme, condizioni della pista, peso, velocità di reazione, forza di gravità, temperatura, aderenza. Data center mobili viaggiano da un circuito all’altro per trasmettere i dati in tempo reale. Ogni squadra si muove con il suo bagaglio di server, workstation, switch di rete, dispositivi di storage, sicurezza, continuità elettrica. Alcuni team hanno già optato per alcuni servizi cloud come il back-up di emergenza. Ci sono applicazioni di advanced analytics per visualizzare non solo i dati raccolti dai sensori della vettura in gara, ma anche i commenti dalla postazione di controllo. Ci sono sistemi di comando del motore e sistemi di recupero dell’energia cinetica. E ci sono telecamere che catturano le immagini più emozionanti per essere diffuse attraverso il circuito globale dei media. Forse, aveva ragione un grande campione, Niki Lauda: «Il pilota migliore resta quello che non fa errori quando ha la macchina migliore».