Cresce e soprattutto migliora la qualità della domanda di Software e Servizi IT. Sotto la spinta della digital transformation, i segnali di maggiore espansione del mercato arrivano dalle imprese che si posizionano all’apice della filiera industriale.
IBM, Accenture, Microsoft, Engineering, SAP, Reply, Almaviva, Oracle, HPE, Zucchetti conquistano le prime dieci posizioni della classifica TOP100 edizione 2018 di Data Manager. Novità interessanti, anche nella classifica speciale Challengers, con Primeur, Qintesi e Sinfo One che si fanno interpreti dell’innovazione e della creazione di valore nella relazione con il cliente. I dati e la loro integrazione sono le priorità. Automazione intelligente e approccio collaborativo, i trend principali. Pochi – però – si preoccupano della qualità dei dati, e questo può essere molto pericoloso perché dopo non ci sarà tempo per farlo e i costi saranno ingestibili.
Le imprese innovative giocano d’anticipo e puntano su competenze e talento. Come evidenza IDC Italia, che ha curato la classifica con un’attenta attività di analisi, la trasformazione digitale traina il ridisegno delle architetture. Per competere, le organizzazioni stanno “ricablando” i loro modelli operativi con focus su velocità e reattività. Ogni impresa è di fatto una data company, indipendentemente dal core business. Ma nel percorso evolutivo di trasformazione digitale e di messa a terra di una data strategy efficace, c’è chi si trova, in qualche modo, bloccato a metà del guado, e chi – invece – è riuscito a dare forma alle proprie strategie, grazie alle nuove tecnologie analitiche e cognitive.
Si tratta di un manipolo ristretto di realtà che rappresentano l’avanguardia, poco più di 10 imprese su cento, secondo i dati di IDC. Sono come le giraffe dal collo lungo. A 160 anni dal suo lavoro più noto, L’origine delle specie (1859), Charles Darwin ci ricorda che non è la specie più forte a sopravvivere, ma quella che si adatta meglio al cambiamento. La competizione non è un esercizio di “stretching”, ma un allenamento continuo al cambiamento che si traduce in una lotta con gli organigrammi, l’innovazione dei modelli operativi e gli obiettivi aziendali, e – diciamo la verità – anche con noi stessi, le nostre abitudini consolidate e le nostre (in)sicurezze.
Il cambiamento non è un automatismo né uno slogan, ma un pensiero per un’azione. È una parola che resta vuota se non si realizza nei fatti. Innovazione e cambiamento non possono essere sinonimi. Tutto il Paese ha un problema di legacy. Connettività, capitale umano, utilizzo di Internet, servizi pubblici digitali, investimenti sono le questioni con cui dovrà misurarsi anche Luca Attias, commissario straordinario per l’attuazione dell’Agenda Digitale, che ha preso il testimone di Diego Piacentini.
L’Italia dei commissari richiama inevitabilmente uno scenario di urgenza continua, di misure eccezionali e di campioni digitali. Abbiamo bisogno di allenatori che ci aiutino a lavorare insieme, di una visione e di obiettivi comuni, ma anche di una misura del ROI complessivo degli investimenti non a livello di singolo progetto ma di Sistema.
La trasformazione digitale non è solo disruption ma è soprattutto construction. Dobbiamo fare i conti con la complessità che aumenta come la polvere sotto il tappeto. Accettare che non ci sono soluzioni semplici. Imparare a imparare. Ascoltare per decidere. Prendere la responsabilità delle scelte su noi stessi, non per conto terzi. Distinguere tra mezzo e fine. La politica è uno strumento. Come la tecnologia, serve a creare un vantaggio o ridurre le differenze che creano squilibrio. Nelle Rane di Aristofane, ci sono due consigli per salvare Atene dal declino: quello di Euripide di “fare tutto il contrario” e quello di Eschilo di considerare la “terra del nemico come la nostra” e le “navi come le vere risorse” per creare un futuro per chi vuole restare o per chi vuole andare via. Al posto di Dioniso, quale poeta avreste scelto di riportare in vita?