Team (digitale) che vince non si cambia

La trasformazione digitale del Procurement di Club del Sole con JAGGAER

Il dibattito sulla trasformazione digitale continua a dominare le pagine cartacee e virtuali della nostra rivista, e i suoi eventi collaterali, primi tra tutti il forum annuale #WeChangeIT e le tavole rotonde che da diversi anni agevolano il confronto diretto tra i “consumatori” professionali di tecnologie ICT e i loro fornitori. Si tratta del resto di una tematica pervasiva, che impegna sviluppatori, operatori, consulenti, ricercatori e media focalizzati su questo mercato. I risultati si vedono, e i casi di studio della digital transformation si moltiplicano, portando aria fresca in ogni settore.

Ma c’è una trasformazione digitale (e procedurale) che sta particolarmente a cuore di tutti e coinvolge gli oltre 22mila soggetti che compongono la pubblica amministrazione. Per questa è ancora difficile fornire un realistico indice di avanzamento. Per la verità una sorta di cruscotto c’è ed è quello pubblicato sul sito avanzamentodigitale.italia.it. I numeri riportati sembrano positivi, ma resta l’incertezza sui valori di questo avanzamento misurati in termini di efficienza, riduzione delle tempistiche e qualità reale e percepita dei servizi. Di quanta carta riescono a fare a meno gli uffici e i cittadini che vi si recano? A che punto siamo con gli obiettivi di consolidamento infrastrutturale e adozione del cloud e dei microservizi? I dati possono scorrere ed essere incrociati con l’auspicata fluidità? Il software open source sta contribuendo al miglioramento generale delle piattaforme e al risparmio sui costi delle licenze?

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Una risposta a queste domande sarebbe probabilmente di importanza marginale se solo ci fosse maggiore chiarezza sulla governance di un iter di cambiamento iniziato 35 anni fa, nel 1983 con una legge quadro sul pubblico impiego che definiva una apposita struttura, il Dipartimento della Funzione Pubblica, alla quale era affidato “il presidio delle politiche di riforma e modernizzazione delle pubbliche amministrazioni”. In questo periodo, si sono alternati dipartimenti e ministri per l’innovazione che oltre a essere dotati di poteri e risorse limitati, quasi invariabilmente in occasione di ogni passaggio di testimone dell’esecutivo riprendevano da capo, modificandolo, pezzi del lavoro già fatto.

Il livello di ingaggio sembra finalmente crescere con il governo Monti e la creazione della Agenzia per l’Italia Digitale (AgID) nel quadro del cosiddetto decreto Sviluppo (2012). All’Agenzia con il suo Comitato di Indirizzo, il governo Renzi ha affiancato un Commissario a capo di un Team Digitale (2016) che potesse svolgere un ruolo di proposizione e controllo sull’esecuzione dell’ambizioso piano triennale (2017-19) firmato dall’AgID e approvato nell’ultima parte della scorsa legislatura. A settembre, il Commissario incaricato nel 2016, l’ex manager internazionale di Amazon Diego Piacentini, ha raggiunto la naturale scadenza del suo mandato precisando però di non essere interessato a proseguire l’incarico nell’anno aggiuntivo stabilito dal nuovo governo Conte. Che a questo punto deve nominare un sostituto.

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Questa sintesi dovrebbe aiutarci a capire meglio sia gli aspetti ancora oscuri di un “impulso” al rinnovamento, ormai spalmato su diversi decenni, sia la quantità di lavoro svolto, che in questi ultimi anni sembra davvero aver fatto un salto di qualità. Il timore è che una nuova fase di incertezza governativa possa risultare in una battuta d’arresto che nessuno vuole. E se la nomina di un erede di Piacentini può scongiurare il rischio e traghettare l’esecuzione del piano AgID verso acque più stabili, è meglio procedere. Senza indugio.