Ottimizzazione, semplificazione, sicurezza e mobilità. Per offrire il miglior servizio devi prima conoscerlo. Ecco come è nato lo strumento che rinnova la gestione delle risorse umane
Quando si parla di dematerializzazione si pensa sempre a un tool, una singola tecnologia, utile per velocizzare e snellire operazioni fino a quel momento analogiche. Vero, però l’implementazione di uno strumento dirompente e game changer acquista valore solo se inserita nei processi aziendali. Ed è così che Zucchetti, ha inteso l’adozione della firma digitale, quale abilitatore di innovazione, integrato nelle soluzioni HR. L’obiettivo segue il più ampio filone della digital transformation: ottimizzare i costi, ridurre la produzione di carta, incentivare la sicurezza pur con l’accesso alle piattaforme professionali in mobilità. In tale contesto, la firma digitale assume il ruolo di ulteriore tassello a completamento delle strategie di rinnovamento del business, dunque non uno step finale ma un vettore di implementazione maggiore quale guida per affrontare le sfide future.
UN EXTRA VALUE DI SUCCESSO
Per capire meglio come Zucchetti ha inserito l’offering della firma digitale e in che modo questa può rappresentare un extra value di successo per i clienti, abbiamo fatto due chiacchiere con Paolo Camia, responsabile certification authority Zucchetti e Angelo Cian, responsabile commerciale servizi fiduciari Zucchetti. «Abbiamo voluto intraprendere internamente il processo di certificazione per la fornitura della firma digitale – spiega Paolo Camia – per immergerci concretamente nelle eventuali problematiche, anche tecniche, che sarebbero giunte sulla strada verso l’adozione. Con un lavoro di concerto, siamo riusciti a censire oltre tremila dipendenti, attivando il servizio in meno di tre mesi. Il punto focale è che, di per sé, la digitalizzazione della firma è un ottimo modo per semplificare certe procedure ma solo se è inserita in un ecosistema a supporto che può donare agli utenti benefici duraturi. Nella nostra ottica, si tratta di un elemento che, canalizzato nel workflow dell’HR, porta la conservazione digitale su un livello di concretezza unica».
Certo è che non si diventa dall’oggi al domani fornitori di firma digitale senza un preciso percorso di qualifica presso gli enti preposti. La via seguita da Zucchetti è stata triplice. Da un lato ha ottenuto il titolo di Conservatore accreditato e Certification Authority da parte dell’AgID, l’Agenzia per l’Italia Digitale, dall’altro quello di Time-Stamping Authority, in ambito eIDAS, il regolamento europeo sui servizi di Digital Trust. Insomma, una serie di titoli che hanno portato, quasi naturalmente, a offrire un plus che diventerà sempre più centrale in alcuni settori, non per ultimo quello che concerne la fatturazione elettronica. Per Zucchetti, sono oltre novemila le conservazioni digitali attivate finora.
NON SOLO CONSERVAZIONE DIGITALE
«Attualmente, non esiste sul mercato un player che, come noi, può rispondere a 360 gradi alle esigenze di dematerializzazione delle aziende» – afferma Angelo Cian. «L’opportunità di sfruttare un modulo di firma che sia interoperabile e versatile apre a scenari di innovazione successivi, che vanno dall’integrazione nei CRM agli ERP e altri gestionali presenti nell’organizzazione. Lo scopo che ci siamo prefissati, già in fase di studio della soluzione, è stato di realizzare uno strumento che fosse di rapida impostazione e facile utilizzo. Ancora oggi, abbiamo clienti che si domandano quanto valga la pena portare in ufficio tecnologie percepite come di difficile comprensione, quasi fossero un ostacolo alla produttività e non un giovamento. Avvertiamo molto questa responsabilità come system integrator che deve immedesimarsi nelle aspettative sia del committente che dell’utente finale, ma soprattutto con il vantaggio di aver provato sulla propria pelle, anzi su quella di tremila dipendenti, cosa voglia dire inserire la firma digitale nelle dinamiche HR».
Tecnicamente, la digitalizzazione della firma prevede l’associazione a un dispositivo personale, che per Zucchetti si traduce in uno smartphone BYOD. Il limite, se così si può definire, è la possibilità di apporre la sigla solo per attività professionali, legate cioè all’identità di impiegato e non di semplice cittadino o consumatore. Ciò rappresenta un’ulteriore sicurezza in termini di protezione dei processi interessati che, riguardando il business, sono sempre oggetto di timore e preoccupazione per violazioni o perdita dei dati. Una valenza maggiore della firma digitale, fuori dall’impresa, si avrà probabilmente con un allargamento funzionale dello SPID. Ma questa è un’altra storia.
Foto Gabriele Sandrini