I computer, quando si cominciarono a usare a metà del secolo XX per risolvere problemi matematici e trattare grandi quantità di dati, venivano chiamati popolarmente “cervelli” elettronici
Le neuroscienze ci raccontano come sia complicato il cervello formato da tantissimi neuroni che comunicano continuamente tra loro per garantirci non solo la sopravvivenza, ma anche il nostro benessere. «In laboratorio – spiega Laura Cancedda, ricercatrice dell’Istituto Italiano di Tecnologia e dell’Istituto Telethon Dulbecco – cerchiamo di capire come funziona il cervello e in particolare come si formano le reti neuronali durante lo sviluppo». I nostri neuroni funzionano comunicando tra loro. «I neuroni non sono semplicemente delle cellule come molte altre cellule del nostro organismo ma hanno la straordinaria capacità di parlarsi. Gli organi di senso raccolgono le informazioni dall’ambiente esterno e le passano a neuroni periferici che mandano queste informazioni ai neuroni centrali del cervello che a loro volta le rielaborano in modo da far conseguire delle azioni. È così che funziona l’apprendimento delle reti neuronali. I neuroni che comunicano insieme fortificano le proprie connessioni. Le altre si indeboliscono».
Il cervello è una macchina straordinaria, complessa ma funzionale. «Tuttavia – continua Laura Cancedda – questa complessità in condizioni normali è ben gestita, è organizzata, è a costo energetico adeguato e non crea overload. Anzi, come l’informazione è una ricchezza in tutti gli ambiti, lo è anche nel nostro cervello. I problemi sorgono invece quando l’informazione non è ben gestita, e anche in questo caso il cervello non fa eccezione. Un cervello che non gestisce bene il proprio carico di informazioni, un cervello i cui neuroni si passano parole troppo complicate, lunghe e con una frequenza troppo elevata, finisce per essere un cervello malato». Il cervello può immagazzinare sì moltissima informazione in diverse aeree, ma bisogna che sia ordinata e ben codificata.
«È fondamentale continuare a studiarlo per generare una ispirazione creativa che poi si potrà tradurre, per esempio, in una intelligenza artificiale più avanzata. Ma l’AI non dovrà necessariamente ispirarsi solo al cervello umano, il suo funzionamento e sviluppo potrà portarci in sentieri nuovi. E ben vengano se saranno capaci di migliorare l’operatività verso obiettivi adeguati. Il ruolo di noi ricercatori, e di noi tutti come società, sarà quello di creare le condizioni scientifiche adatte e una cultura adeguata alla gestione di queste nuove tecnologie. In questo contesto – conclude Laura Cancedda – le conseguenze di un uso diffuso dell’AI non potranno essere che favorevoli. Insomma, è inutile temere lo sviluppo tecnologico, se partorito da menti umane responsabili e quelle sì dotate di intelligenza».