Nonostante la quantità di iniziative di business end-to-end per supportare, coltivare e far crescere la forza lavoro globale, secondo uno studio SAP realizzato a livello mondiale le aziende stanno perdendo la sfida per reclutare talenti qualificati. Nel 2015, il 53% degli intervistati affermava che la propria azienda non disponeva di personale con le competenze necessarie per gestire la trasformazione digitale. Questa percentuale è arrivata nel 64% nel 2017. Ci troviamo di fronte alla Quarta Rivoluzione Industriale e la carenza di competenze non fa che aumentare
Di Francesca Puggioni, General Manager – Southern Europe Cluster di Orange Business Services
La carenza di competenze rischia sempre più di minare la performance delle aziende in tutti i settori, in un’era digitale che invece ha un potenziale così elevato. In un ruolo di management che ricopre 5 regioni in Sud Europa e oltre 220 dipendenti, lo sviluppo delle competenze è uno degli argomenti fondamentali e con priorità assoluta, anzi vitale per la sopravvivenza e la competitività sul mercato: la digitalizzazione trasforma le imprese in maniera drastica, più velocemente di quanto è accaduto con la rivoluzione industriale.
In questo contesto, è proprio il capitale umano a diventare l’elemento di differenziazione, e di conseguenza l’investimento che consente alle risorse di mantenere il passo del cambiamento diventa cruciale.
Semplificando, la trasformazione digitale si compone di tre parti: cultura e competenze digital-ready, tecnologia e strumenti innovativi, servizi in tempo reale. La maggior parte delle aziende considera la cultura e le competenze come l’ultimo step in ordine di tempo, ma vorrei invece spronare a dare a tutti e tre questi elementi identica priorità. Se non ci si prende cura delle persone, le altre parti non funzioneranno – parlo per esperienza.
Quindi come si intraprende un progetto di trasformazione della forza lavoro? In un mondo guidato dalle informazioni, si comincia dai dati: molto di quello che ci aspetta nel futuro è già scritto nei dati. Questo significa che è necessario sfruttare le fonti di intelligence per capire quali profili di competenze sono già a disposizione e di cosa l’azienda avrà bisogno in futuro. Se in passato la pianificazione delle risorse si concentrava principalmente sulle esigenze attuali e a breve termine del business, basate sui risultati e sull’incontro tra domanda e offerta, oggi grazie a strumenti basati sui dati possiamo prevedere immediatamente i requisiti di capitale umano, anticipare le carenze e essere certi che l’organizzazione abbia le capacità e l’infrastruttura necessarie per raggiungere gli obiettivi aziendali, aumentare la competitività e rimanere rilevante – caratteristiche indispensabili in un’economia piatta.
Due avvertimenti importanti
Prima di tutto, per la buona riuscita di questo progetto sono necessari governance dei dati e un esercizio di pulizia. Quando Orange Business Services ha intrapreso il suo Skills Anticipation Programme, abbiamo vagliato 800 profili professionali e li abbiamo sfrondati fino a ottenere una quantità molto più piccola e gestibile, più in linea con i requisiti di lavoro emergenti e il tipo di organizzazione snella e flessibile in cui ci stavamo trasformando.
In secondo luogo, mai trascurare l’elemento umano. Un programma efficiente di gestione delle competenze dovrebbe essere incentrato sulle persone, e cercare di arricchire l’esperienza dei dipendenti. Grazie al ritmo esponenziale della disruption, i ruoli di lavoro stanno cambiando. Le competenze di cui abbiamo bisogno oggi non comparivano tra le specifiche del lavoro cinque anni fa. Ad esempio, ancora poco tempo fa i social media manager erano una novità e lo scrum master un ruolo di nicchia, mentre oggi è riconosciuto come un fattore chiave per le iniziative di sviluppo agile di un’azienda. Naturalmente, le aziende avranno ancora bisogno di personale di vendita, ingegneri e addetti all’assistenza clienti poiché queste professioni continueranno a esistere, ma le competenze necessarie per stare al passo con i tempi cambieranno in modo sostanziale. Se queste competenze sono ancora appena abbozzate o addirittura inesistenti, l’organizzazione dovrà decidere se creare da zero i percorsi di apprendimento, acquisire una società all’avanguardia o formare la prossima generazione in collaborazione con un organo accademico.
È stato un viaggio avventuroso, che ha anticipato la velocità con cui le tecnologie emergenti rimodelleranno il modo in cui viviamo, lavoriamo e giochiamo, e ora abbiamo iniziato a sviluppare una ricca dotazione di competenze all’interno dell’organizzazione. Ci siamo concentrati su competenze specialistiche come cybersecurity, Internet of Things (IoT), reti software defined (SDN) e virtualizzazione delle funzioni di rete (NFV). Dato che SDN/NFV sono paradigmi di reti relativamente nuovi guidati da cambiamento dei modelli di traffico, consumerizzazione dell’IT, aumento dei servizi cloud e sempre crescente richiesta di larghezza di banda dei big data, questo ha richiesto un approccio innovativo.
Dal 2013, abbiamo sviluppato collaborazioni con università come l’ESIEE di Parigi per creare corsi specializzati di virtualizzazione e aiutare gli studenti a comprendere il valore professionale di queste competenze, e anche con Vannes Ensibs, parte dell’Université de Bretagne Sud (UBS) a Lorient, per studiare tecniche pioneristiche di sicurezza informatica. L’analisi della pianificazione della forza lavoro è anche alla base della decisione di espandere le nostre competenze di cybersecurity acquisendo Lexsi, uno specialista di servizi di sicurezza con 200 dipendenti, di cui 150 ingegneri ed esperti tecnici. Abbiamo anche creato una CyberSecurity Academy all’interno per condividere le competenze e sviluppare queste rare competenze specialistiche, così richieste in un mercato competitivo.
È ovvio che se le abilità del futuro non esistono ancora, allora le persone avranno bisogno di sviluppare le loro competenze direttamente sul posto di lavoro. Gran parte di ciò che fanno li porterà su terreni inesplorati. Pertanto, le organizzazioni dovranno saper creare una cultura di apprendimento continuo, guidata dall’alto e supportata da un solido programma di supporto, supervisione e guida, che dovrebbe includere la definizione degli obiettivi della forza lavoro ben al di là delle esigenze operative a breve termine.
Niente di tutto questo è facile. È indispensabile un’iniziativa decisa e formale di trasformazione delle skill: noi abbiamo creato Eureka – un programma completo e olistico di gestione delle competenze, che riunisce conoscenze e talenti dagli ambiti business, risorse umane e digital. Comprende sia una visione dall’alto della leadership su quale sarà l’orientamento strategico del business nei prossimi tre-cinque anni sia una visione gestionale dal basso delle competenze che abbiamo oggi e di cui avremo bisogno in futuro.
Il programma utilizza big data e scienza dei dati, tra gli altri metodi, per identificare le competenze e le lacune di competenza per paese, regione, funzione e tecnologia. Queste informazioni aiutano a definire in modo proattivo una strategia per reperire e sviluppare le abilità e le competenze necessarie.
Per trasformarsi veramente, un’organizzazione deve essere capace di cambiare pelle: significa abbandonare le modalità gerarchiche di lavoro e imparare ad ascoltare. Questo vale in particolare per le risorse umane. Dato che ciò che facciamo e diciamo contribuisce a definire il tono dell’organizzazione, è fondamentale mostrare che stiamo ascoltando e rispondendo. Piuttosto che adottare un approccio “fa’ come dico” quando si tratta di incoraggiare il lavoro agile in tutto il business, abbiamo coinvolto 26 architetti da team interfunzionali nel business e nelle risorse umane e nominato 70 “maker” dal team HR globale per porre domande, fare brainstorming, ripetere e progettare nuove pratiche di HR. Dato il nostro ruolo nel business, queste iniziative, in un modo o nell’altro, hanno un impatto sulla nostra base di dipendenti più ampia, che è come dire che ciò che facciamo ha un impatto a livello di organizzazione.
Se i leader aziendali sono seriamente intenzionati a trasformare la forza lavoro, devono prima conquistare la fiducia e l’impegno delle persone e dimostrare, in termini concreti, che i modi di lavorare agili e digitali migliorano l’esperienza dei dipendenti mentre contribuiscono alla crescita del business. L’azienda può accendere la miccia, ma dovrebbero essere i collaboratori stessi a impegnarsi proattivamente nella trasformazione digitale, per il bene dei loro team, di clienti e progetti. È la “teoria dei nudge” in versione 2.0.
Oggi le imprese hanno compiuto progressi sostanziali nell’adozione dell’economia digitale. Fino a pochi anni fa “cloud” era un termine enigmatico, ora è un modello aziendale onnipresente. Con un ampio consenso sul fatto che siamo ormai immersi nella Quarta Rivoluzione Industriale, vale la pena ricordare che le rivoluzioni industriali rappresentano una pluralità di cambiamenti – hanno bisogno di tempo per avvenire. I cambiamenti sismici nella potenza di elaborazione della tecnologia ci hanno portato a questo punto, ma le placche tettoniche si stanno ancora allineando.
La trasformazione umana potrebbe sembrare un pensiero secondario, ma il suo fondamentale contributo alla creazione di una nuova esistenza digitale non può essere sottovalutato. Ecco perché la pianificazione strategica della forza lavoro dovrebbe andare di pari passo con la trasformazione della forza lavoro.
Oggi tutto ciò che riguarda la nostra forza lavoro e le sue capacità e talenti dovrebbe essere inserito nella mappa del più ampio percorso di trasformazione dell’organizzazione. Questo mi riporta al punto precedente: la trasformazione della forza lavoro deve essere portata ai primi posti dell’agenda strategica. Se rimane in terza posizione nell’elenco delle cose da fare, diventa facile per le organizzazioni occuparsene solo sulla carta o semplicemente trascurare questo driver chiave della trasformazione digitale. Il nuovo volto digitale dell’organizzazione è una priorità tanto importante per il consiglio di amministrazione quanto i risultati finanziari dell’azienda.