La produzione industriale ritorna a casa!

L’AI come componente naturale dello sviluppo

La tendenza di riportare in Europa o in USA la produzione dai paesi caratterizzati da manodopera a basso costo sta crescendo velocemente. Non una moda passeggera, ma una scelta di strategia industriale e politica economica

Le aziende hanno sempre più coscienza dell’importanza di strategie basate su modelli di sourcing differenziati in funzione delle specifiche esigenze di business. «Il ruolo di imprenditori e politici si è reso cruciale al fine di assicurare le giuste condizioni perché ciò avvenga. Ci sono sicuramente molteplici fattori. Prima di tutto, la ragione della decisione strategica di ricollocare la produzione o parte di essa in divisioni domestiche o in paesi limitrofi al proprio» – spiega Karl Bohlin, CEO di HansaWorld. Fondata quasi trent’anni fa in Svezia, la società è attiva nell’ambito dei software ERP, CRM e soluzioni di contabilità per diversi settori, ed è presente in 120 paesi in tutto il mondo.

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STRATEGIA INDUSTRIALE

Il tema del “ritorno a casa” ovvero dell’outsourcing contro insourcing è di grande attualità. Il dibattito è al centro dell’attenzione delle imprese ma anche della politica per le sue conseguenze in termini di scelte di politica economica e di lavoro. Secondo il CEO di HansaWorld, l’ampia adozione dell’automazione porta con sé la conseguenza dell’assunzione di personale tecnico altamente qualificato. «I paesi dove attualmente sono insediati gli stabilimenti, come Messico, Asia sudorientale e Cina, non rappresentano la scelta migliore per avere accesso a questo tipo di ruoli professionali» – mette in evidenza Karl Bohlin.

«Ingegneri qualificati, che siano bilingue e che possano viaggiare senza restrizioni di cittadinanza attraverso l’Europa e gli USA, sono realmente difficili da assumere in quei paesi e di contro, spostare ingegneri europei per incarichi a lungo termine per esempio in Vietnam è praticamente impossibile. Inoltre in queste regioni, le infrastrutture sono carenti, strade e trasporti ferroviari risultano inaffidabili con la conseguenza che movimentare e spedire merci risulti oltremodo lento e costoso, l’approvvigionamento energetico oneroso e discontinuo, richiedendo l’adozione di tecnologie di continuità dispendiose per poter mantenere continua la produzione».

UN GIOCO RISCHIOSO

In nazioni come Svezia, Estonia e Germania – continua Karl Bohlin – gli ingegneri e i tecnici sono preparati e qualificati, ma soprattutto pronti a essere reimpiegati conseguentemente alla contrazione locale dell’industria della telefonia mobile e della rapida automazione dell’industria automotive. «I cittadini europei possono viaggiare liberamente con il loro passaporto, l’approvvigionamento energetico è a buon mercato, i trasporti sono eccellenti. E inoltre producendo direttamente in Europa e in USA le merci non dovranno viaggiare e raggiungeranno il consumatore prima e a un costo più basso nonché con minori problematiche». Inoltre la tendenza a introdurre dazi e tassazione protezionistica in genere, si traduce in un drastico abbattimento dei profitti derivanti dall’utilizzo di manodopera a basso costo. Volendo utilizzare parole non tecniche – sintetizza Karl Bohlin – si potrebbe dire che «avere una fabbrica all’estero è divenuto un gioco rischioso».

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SEMPLIFICAZIONE E TASSAZIONE

All’atto di riportare la produzione nei loro paesi le aziende possono inoltre cogliere l’occasione di automatizzare i processi, migliorando considerevolmente il loro vantaggio competitivo. «Ciò che appare essere ancora un elemento di dissuasione è il livello di burocrazia, per ottenere permessi di tipo ambientale ed edilizio» – avverte il CEO di HansaWorld. «La politica locale ha il compito di semplificare adempimenti complessi per agevolare il trasferimento sul loro territorio delle aziende». Non solo. La tassazione generale rappresenta un ulteriore fattore determinante. «Tassare la produzione, imposizione duplice su volume di affari e utili e peggio tassare l’automazione, sarà una variabile cruciale quando si tratterà di decidere in quale paese trasferire una fabbrica» – mette in guardia Karl Bohlin. «Più bassa è la pressione fiscale percepita, maggiore sarà la possibilità di attrarre le aziende». La sfida è chiara: «Oggi, si sceglie la destinazione per l’impianto della produzione. Imprenditori e politici decideranno il futuro dei nostri paesi».