Innovazione nella PA: le tante, forse troppe, cose da fare

Acronis migliora la sua soluzione di backup di fascia enterprise

Quando capita di leggere che i cinesi attaccano gli americani oppure che i russi spiano l’Occidente, non appena si capisce che si parla di vicende che hanno luogo nello spazio cibernetico tutti fanno spallucce e la giornata prosegue come se nulla fosse accaduto e – peggio – potesse mai accadere

Le cronache che hanno preceduto l’estate sono state costellate di episodi concreti e fondati sospetti che evidenziano una crescente fragilità del contesto in cui viviamo. Mentre si parla di “cyber” – magari a bocca piena – tra una tartina e un tramezzino durante il “light lunch” di una delle miriadi di conferenze e workshop, fuori dai nostri confini (dove alla non sempre produttiva attività turistico-congressuale si predilige la ricerca e la pratica sperimentazione) il fronte digitale è presidiato e soprattutto è al centro dell’attenzione politica e imprenditoriale. Nella “terra dei cuochi”, ben più estesa di quella famigerata “dei fuochi”, il modello MasterChef ispira l’impegno nella digitalizzazione del Paese. Si va avanti con interventi di nouvelle cousine (quelli da mezza oliva taggiasca su una foglia di cappero di Favignana adagiata su un letto di purea di cipolla di Tropea…) che non possono certo sfamare appetiti di automazione troppo datati e radicati.

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Ricordo le chiacchiere di Giancarlo Scatassa, storico personaggio dell’informatica nella Pubblica Amministrazione che le nuove generazioni non conoscono. Era il grand commis che alla Funzione Pubblica – Remo Gaspari regnante – predicava “devono essere i dati e i documenti che si muovono automaticamente nei meandri degli uffici e non il cittadino che deve correre per fornire ogni volta informazioni che lo Stato già ha”. Il virgolettato non è testuale, ma sintetizza un pensiero che costituiva il refrain di ogni discorso che in qualunque circostanza Scatassa era tenuto a ripetere.

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Chiacchiere. Solo chiacchiere. E proprio per questo “immortali”. Un simile discorso potrebbe entusiasmare i cittadini anche trent’anni dopo la sua declamazione originaria. Era più o meno il 1988, eppure dichiarazioni del genere mantengono una attualità incommensurabile. In questo arco temporale, si sono succeduti guru e profeti del “qualcosa punto zero”, che – senza sapere di aver biecamente copiato Scatassa – non esitano ad auspicare l’iperuranio della PA perfetta, a prospettare un futuro quasi presente fatto di soli vantaggi derivanti dalle tecnologie, a tentare di far credere che siamo a un passo dalla meta. Le code agli sportelli e le cartelle pazze del Fisco sono stati per anni lo sfondo delle promesse mancate e della fiducia tradita. Fare esempi di inefficienza contemporanea sarebbe impietoso e, avendo deciso di far voto di bontà, mi astengo dal commentare raccapriccianti episodi recenti che potrebbero minare le poche aspettative residue del quisque de populo. La digitalizzazione dell’universo pubblico rappresenta un classico degli argomenti da conversazione. La cybersecurity è invece il tema caldo: nei salotti non c’è chi non ne parla simulando di “sapere l’ultima”, al pari di chi un tempo – pur di sembrare simpatico – scodellava patetiche barzellette stantie spacciandole per appena sbocciate gemme di ironia.

Nei giorni in cui si avvia il “Governo del cambiamento”, mi permetto di alzare un dito dall’ultimo banco e richiamare l’attenzione di chi sta al di là della cattedra. Innovazione tecnologica e sicurezza digitale sono un binomio inscindibile. L’auspicio è che la circostanza non venga dimenticata. La vulnerabilità di un paese comincia proprio con il disarticolato e non omogeneo processo di informatizzazione, che a sua volta è frutto di una atavica mancanza di un progetto imperativo sugli obiettivi da perseguire e sui livelli di servizio da ottenere, della sostanziale incapacità di committenza dell’apparato pubblico centrale e locale, della inammissibile insensibilità alle conseguenze cui si può andare incontro. C’è molto, forse troppo, da fare. E non ci si può permettere il lusso di aspettare ancora o – ancor peggio – di continuare a bighellonare. Non bastano una manciata di app e qualche annuncio clamoroso a risolvere la situazione.

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