Business digitale e KPI, che cosa cambia?

Accelerazioni sorprendenti tra parità e disparità

Muoversi da metriche tradizionali verso nuovi indicatori delle performance digitali sarà una delle esperienze più significative e importanti per il management aziendale

La digital transformation (DX) ci ha insegnato a cambiare prospettiva, con uno sguardo all’ecosistema e non solo del perimetro aziendale, al concetto di esperienza e servizio che arricchisce il prodotto, alla circolarità che supera la logica lineare, ai nuovi modelli di business da sviluppare insieme a mercati e clienti su piattaforme collaborative. Un nuovo spazio aperto che le imprese stanno iniziando a occupare, alcune gradualmente e altre a un ritmo più accelerato. Realizzare valore dagli investimenti in trasformazione digitale è il più grande rompicapo per i manager e gli stakeholder aziendali. La complessità è grande e spiega la percentuale elevata di aziende (59% a livello mondiale, secondo l’IDC DX MaturityScape 2017) che si posiziona ancora negli stadi 2 e 3 di una roadmap di maturità concepita su 5 livelli di preparazione digitale. La misurazione è parte della vita delle imprese. Da sempre. Ma sta emergendo un modello di approccio all’innovazione che rende indispensabile dare voce alla “DX Performance”, ovvero un insieme di pratiche che concettualizza strategicemente – e traduce in modo operativo – l’osservazione e la misurazione di una nuova serie di indicatori di performance.

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COME MISURARE IMPATTO E PERFORMANCE

Una delle difficoltà della prima era dell’innovazione digitale era la chiarezza e il livello di traduzione degli obiettivi strategici in ambiti misurabili. Alcune organizzazioni si sono limitate a delineare imperativi digitali più vicini ai cosiddetti “valori aziendali” che a vere e proprie metriche, con il rischio di rendere troppo generica l’applicazione (sicuramente non distintiva). Il passaggio verso una maggiore concretezza a livello di impatto e misurazione è apparso velocemente chiaro: complessità, rischi, processi legacy e velocità del cambiamento hanno dato una spinta verso una maggiore maturità. Piano piano è diventato normale conciliare strategie a medio termine (per esempio tre anni) con valutazioni trimestrali, se non mensili, della direzione verso obiettivi annuali (si pensi alla percentuale di crescita annua del business digitale, all’incidenza dei profitti digitali rispetto al totale e così via).

La consapevolezza del valore di nuovi KPI varia a seconda dall’attitudine all’innovazione digitale. Secondo una recente indagine condotta da IDC in Italia, tra coloro che stanno dando una forte accelerazione all’innovazione del modello di business il 44% avverte l’esigenza di introdurre nuove metriche per misurare il business digitale. Questo bisogno è meno sentito (solo il 32% lo considera importante) tra coloro che invece dimostrano un approccio più perimetrato e meno disruptive all’innovazione. In entrambi i casi, entrano in gioco il ruolo del top management e dei team interfunzionali, il committment e la capacità di orchestrare con una certa disciplinarietà, intesa come capacità di bilanciare flessibilità e metodo. La leadership, tradotta in termini interni e organizzativi, si esprime attraverso una serie di azioni: coordinamento di programmi di innovazione, definizione dei meccanismi collaborativi e dei sottostanti ingranaggi (incentivazione, motivazione…), governo di un “digital dream team”. L’equilibrio tra cautela da un lato e sperimentazione non destabilizzante dall’altro è sicuramente un valore, così come la continua ridefinizione di cosa è possibile e non, dentro e fuori il perimetro organizzativo. Anche il tema dei rischi e della loro gestione assume connotati nuovi. Il cambiamento del profilo e dei livelli di rischio (di business, immagine/brand, reputation, sicurezza e governance…) è uno dei caratteri dell’era digitale e condiziona la sfera della leadership.

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NUOVE METRICHE E TRASFORMAZIONE DIGITALE

Tornando ai KPI, nel tempo appare più delineata non solo l’ampiezza potenziale dei fronti di misurazione, ma anche la possibilità di ricondurre singoli parametri a raggruppamenti, tipologie, in base alla natura del fenomeno da valutare. Uno dei trend dell’era digitale è lo spostamento graduale dell’asse della misurazione dai cosiddetti “output-oriented” KPI verso gli “input-oriented” KPI. O meglio, l’unione fa la forza. I primi risultano più immediati in termini di misurazione ma più complessi da influenzare, migliorare. Un esempio tradizionale è l’andamento delle vendite; in tempi più recenti misurare i nuovi ricavi ottenuti da iniziative digitali rientra in questo campo, ma entrambi gli esempi guardano al risultato con uno sguardo storico. Gli input-oriented (detti anche “leading-KPI”) si mostrano più difficili da misurare, ma al tempo stesso modificabili e influenzabili in prospettiva di un successivo traguardo di business. Nel campo dell’innovazione digitale, sta crescendo infatti l’utilizzo di KPI cosiddetti “precursori” o intermedi che segnano la strada verso il raggiungimento di altri risultati. Si pensi – per esempio – all’obiettivo di ridurre annualmente del 10% i costi derivanti dall’abbandono di iniziative DX (o da fallimenti veri e propri) nel più ampio quadro della “innovation rate”. Oppure, all’aumento del 20% annuo dei clienti profittevoli per i prossimi 3 anni, nell’ambito dell’affermazione di una strategia digitale omni-experience.

Riportando l’attenzione sui meccanismi attuativi e anche sull’efficacia, assume particolare valore non solo la misurazione, ma anche l’approccio con cui si agisce a livello di comunicazione degli obiettivi (e supporto al raggiungimento). Abbiamo vissuto l’era della comunicazione principalmente associata ai concetti di reporting nei board meeting, gestione dei processi di budget, richieste versus approvazioni, gestione di problemi e – in casi estremi – crisi.  A tutto questo (che non sparisce), l’era digitale sta aggiungendo una nuova sfera di attitudini che richiamano i concetti di comunicazione, empatia, enablement, influenza, persuasione, intelligenza emotiva portate nel “board of directors”. Un mix molto complesso di fattori umani che dovranno convivere con contaminazioni digitali, per muoverci dall’era della “multiplied innovation” che stiamo vivendo verso quella della cosidetta “autonomy” in cui entreremo tra meno di un quinquennio. A livello strategico e manageriale come a livello operativo, non c’è da sorprendersi se la sfera DX Performance risentirà di tutti questi trend. Non ci sorprenderemo – per esempio – nel trovare tra gli indicatori di performance della sfera “WorkSource”, oltre a fattori di produttività, motivazione e gestione delle persone, anche obiettivi legati alla percentuale di processi aziendali amplificati da tecnologie innovative, piuttosto che a task manuali e ripetitivi automatizzati da sistemi di intelligenza artificiale.

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Barbara Cambieri, managing director di IDC Italia