Come piantare il seme dell’innovazione per migliorare la competitività dell’agroalimentare italiano. Dalle applicazioni IoT in campo a quelle sui trattori, dai droni alla supply chain, passando per la robotica, il machine learning e l’agricoltura di precisione. Ecco tutte le soluzioni tecnologiche al servizio dell’innovazione in agricoltura, dei prodotti dell’agroalimentare italiano di qualità, dello sviluppo dei territori di eccellenza e dello sviluppo sostenibile
Con l’espressione “smart agrifood” si identifica, in estrema sintesi, una visione del futuro della filiera agricola e agroalimentare secondo cui, grazie alle tecnologie digitali, l’intero comparto non solo aumenterà la propria competitività, ma sarà in grado di valorizzare meglio la qualità, di essere più sostenibile e di dare più valore anche alle produzioni di nicchia. Il continuo e rapido tasso di crescita della popolazione mondiale può influire sulla disponibilità delle risorse in futuro. Da studi recenti, è emerso che la produzione del settore dovrà aumentare del 60% entro il 2030 (dati FAO). Il futuro dell’agricoltura – al quale è legato a doppio filo anche il nostro stesso futuro – dipende dalla sua trasformazione digitale. In questo contesto ai CIO interessa sempre di più comprendere in profondità le innovazioni digitali (di processo, infrastrutturali, applicative, hardware e software) che stanno trasformando la filiera agricola e agro-alimentare, unificando le principali competenze necessarie: economico-gestionali, tecnologiche, agronomiche. L’innovazione digitale può contribuire a migliorare in particolare la competitività del settore agroalimentare italiano, garantendo più qualità, trasparenza, tracciabilità e ottimizzazione dei processi di produzione, coltivazione e allevamento. L’automazione permetterà di difendere la qualità delle produzioni, abbattendo i costi di gestione, monitorando l’intero ciclo di produzione, per decidere il momento migliore per intervenire.
Nonostante la forte contrazione di tutte le componenti della produzione agricola, l’agroalimentare Made in Italy rappresenta una voce importante del prodotto interno lordo nazionale, seconda solo al comparto manifatturiero. Nel 2017, il valore del settore primario italiano è stato pari a 28,14 miliardi, in calo rispetto ai 29,12 dell’anno precedente. Se l’Italia non è mai stata competitiva sulle grandi estensioni, lo è invece sulla biodiversità e le produzioni di nicchia. L’Italia investe poco in innovazione in agricoltura, appena lo 0,02% del PIL. Secondo i dati pubblicati dal Centro studi di Confagricoltura, al top dell’innovazione ci sono Israele e Corea del Sud, che investono ogni anno oltre il 4% del PIL in R&D. Al boom dell’export agroalimentare, si è registrata anche una crescita delle importazioni di materie prime. E questo è un campanello di allarme in un momento di contrazione della produzione agricola nazionale. L’Italia sta diventando sempre di più un paese trasformatore. Un dato che deve far riflettere quando parliamo di competitività sbandierando l’orgoglio tricolore del Made in Italy. È necessario premere l’acceleratore dell’innovazione per aumentare la produttività, ma anche la sostenibilità. Dobbiamo pensare a un piano di sviluppo per l’agricoltura analogo a quello per l’Industry 4.0. Agricoltura di precisione, genomica, adattamento dell’agricoltura ai cambiamenti climatici, controllo delle infestanti e delle infezioni, salute, benessere, nutraceutica, tecnologie dell’informazione, big data e digitalizzazione. Sono questi i driver dell’innovazione. Parole che devono acquisire dignità nel vocabolario delle imprese agricole al pari di tradizione, eccellenza e qualità.
L’AGRICOLTURA SI TRASFORMA
La trasformazione del settore agricolo sta avvenendo a una velocità superiore alle attese. Una trasformazione che sopravanza non solo le competenze degli addetti ai lavori, ma anche la capacità di assorbire il cambiamento da parte delle imprese. Export agricolo, convergenza di settore alimentare e sanitario, ascesa di proteine alternative, il potenziale dell’indoor farming. Sono solo alcuni dei temi che catalizzano l’attenzione. Dai dati e le proposte presentate in occasione dei più recenti appuntamenti specialistici su scala mondiale – quali i recentissimi Seed&Chips di Milano e l’AgriTech Israel 2018 di Tel Aviv – traspaiono alcuni fabbisogni comuni a tutto il vasto e variegato universo agritech e smart food, accomunato in modo molto evidente da un “rischio/opportunità” disruption appena all’inizio, ma in costante accelerazione.
LA SUPPLY CHAIN HA FAME DI INFORMAZIONE
Dalla field optimization all’automazione e all’intelligenza artificiale fino alla supply chain estesa, le startup e gli altri disruptor lavorano su ogni lato dell’agritech per lo sviluppo di nuove e interessanti applicazioni. Il problema è che molti operatori sono completamente all’oscuro di queste evoluzioni. Questa “disconnessione” deve essere risolta se vogliamo coltivare il seme dell’innovazione e portare a maturazione nuovi progetti. Un commento di Jack Scott, VP Sustainibility di Nestlé, durante un panel sugli hyperlocal data ha messo in evidenza l’importanza di «essere trasparenti» per imparare a condividere dettagli delle proprie scelte operative: «Si tratta forse di una delle sfide più dure che dobbiamo superare. Se avremo il coraggio di immergerci nei dati, solo allora saremo davvero capaci di risalire la supply chain all’indietro per raggiungerne l’origine. Solo i dati possono farci andare così lontano».
C’È BISOGNO DI “COLLABORATION”
Allo stesso tempo, i disruptor devono lavorare più a stretto contatto con i loro clienti finali. L’innovazione non può avvenire nel vuoto. Non possiamo perdere di vista l’agricoltore da una parte e il consumatore dall’altra. «Le startup come noi devono collaborare con le aziende più grandi del settore e con le aziende agricole» – ha dichiarato Allison Kopf, fondatrice e CEO di Agrilyst, una startup con sede a Brooklyn che lavora a strumenti basati sui dati per gli agricoltori locali. «Occorre amplificare la voce del contadino, potenziare ma non condizionare le sue opportunità di crescita attraverso l’uso della tecnologia».
NUOVI MODELLI DI BUSINESS
La dimensione e la concentrazione dei mercati di quelli che nel settore si chiamano “input” – per comprendere: semi, fertilizzanti, prodotti chimici, sistemi di irrigazione migliorati e altro – sono pronti per la disruption. «La maggior parte dell’agricoltura è una commodity: il rendimento si basa sul volume di produzione, non sulla sostenibilità o la qualità» – ha messo in evidenza David Perry, CEO di Indigo Agriculture. Le cose stanno cambiando. E i consumatori sono disposti a pagare un prezzo più alto per avere prodotti migliori. Non solo. «Ridurre l’uso di sostanze chimiche o ridurre l’uso di fertilizzanti è certamente utile, in quanto ha un beneficio immediato anche per l’agricoltore perché riduce i costi di produzione». La tech-industry ha la brutta abitudine di ricorrere a modelli di business già consolidati, di solito ispirata al tipico modello di un Software as a Service (SaaS) della Silicon Valley. Ma l’agricoltura è diversa. Ed è tempo di elaborare modelli di business che aiutino effettivamente l’industria a risolvere alcuni dei problemi che sta affrontando. Negli ultimi dieci anni, l’agricoltura ha visto nascere un numero di società tecnologiche davvero interessanti che però sono state limitate dal proprio ecosistema. Secondo David Perry, è necessario risolvere il problema del modello di business in modo da poter massimizzare il valore della tecnologia adottata. In tutti i casi, questo è un ottimo momento per le startup che devono risolvere questi problemi, grazie al consolidamento delle aziende di input, alla riduzione della domanda sulle tecnologie esistenti, all’emergere di nuove tecnologie come la microbiologia e la data science, oltre al fatto che l’agricoltura non è molto attraente dal punto di vista economico in questo momento. Tutto ciò rende gli agricoltori più disposti a sperimentare. E forse è arrivato il momento giusto per costruire qualcosa di nuovo in grado di rimodellare radicalmente l’agricoltura.
L’AGRICOLTORE DEL FUTURO
Anche il fattore umano in agricoltura sta cambiando, dal lavoratore manuale che lavora nei campi alla generazione successiva che gestirà la fattoria. In che modo la fattoria del futuro affronterà il problema della gestione e dell’impiego delle risorse umane di fronte all’automazione e ai cambiamenti dei mercati? Quali nuove porte si apriranno? Assisteremo sicuramente a un cambiamento di interfacce come sempre è accaduto nella storia. Secondo l’economista agricola Renée Vassilos, fondatrice del Banyan Innovation Group, ogni azienda ha un capitale investito in attrezzature inutilizzate per una gran parte dell’anno. Un surplus di capacity che non si traduce però in vantaggio economico. «Un vero salto di qualità in termini di autonomia ed efficienza si potrà raggiungere davvero soltanto con il “24-hours-a-day farming”. E a questo si dovrà aggiungere anche l’opportunità di un modello più sostenibile di condivisione delle attrezzature per abbracciare la tecnologia come risorsa sostenibile e scalabile.
IOT E SENSORI SUL CAMPO
L’IoT sta realizzando una disruption in senso positivo per l’industria agricola ed esiste un potenziale estremo per l’utilizzo dell’IoT nel settore. L’IoT semplifica e snellisce la raccolta, l’ispezione e la distribuzione complessiva delle risorse agricole utilizzando sensori su apparecchiature e materiali. Sensori posizionati strategicamente attorno ai campi insieme a tecnologie di riconoscimento delle immagini consentono agli agricoltori di visualizzare le loro colture da qualsiasi parte del mondo. Questi sensori inviano agli agricoltori informazioni aggiornate in tempo reale, pertanto è loro possibile apportare modifiche alle colture. Questo si traduce in una maggiore produzione di cibo con meno sprechi, esattamente ciò di cui questo settore ha bisogno.
IOT E SENSORI NELLE APPARECCHIATURE
Proprio come la tecnologia in campo, i sensori vengono collocati su attrezzature agricole per monitorarne ad esempio lo stato operativo. Usando il termine “agricoltura di precisione” vengono fabbricati trattori e altre attrezzature agricole con sistemi di navigazione e una varietà di sensori. Alcuni sensori sono costruiti con la capacità di compensare il terreno irregolare usando il GPS. Altri sono costruiti per la mappatura della resa e la documentazione del raccolto, direttamente dalla cabina dell’attrezzo. Altri ancora segnalano quando i trattori devono essere sottoposti a manutenzione, minimizzandone su base statistica i costi e i tempi di fermo macchina.
DRONI E MONITORAGGIO COLTURE
Possiamo immaginare il ritorno sull’investimento quando gli agricoltori possono visualizzare le loro colture utilizzando una fonte aerea, senza dover noleggiare un aereo. I droni vengono utilizzati per il monitoraggio delle colture come mezzo per combattere la siccità e altri fattori ambientali dannosi. I droni che producono immagini 3D possono essere utilizzati per prevedere la qualità del suolo attraverso l’analisi e la pianificazione dei modelli di semina. I droni vengono anche usati per irrorare prodotti chimici sulle colture selettivamente senza penetrare nelle acque sotterranee e possono aumentare la velocità di irrorazione di cinque volte rispetto ad altri tipi di macchinari.
FARMING E ROBOTICA
La robotica in agricoltura migliorerebbe la produttività e porterebbe a rendimenti sempre più rapidi: i robot di irrorazione e diserbo, recentemente acquisiti dal gigante delle macchine agricole John Deere, possono ridurre l’uso di prodotti agrochimici di un incredibile 90%. Alcune startup di robotica stanno sperimentando la guida laser e l’uso di telecamere per identificare e rimuovere piante infestanti sul campo senza l’intervento umano. Questi robot possono utilizzare la guida autonoma per spostarsi tra le file di colture, riducendo la manodopera. Alcune aziende stanno sperimentando l’utilizzo di robot per il trapianto di piante che aggiungono un nuovo livello di efficienza ai metodi tradizionali. Altre stanno testando i robot anche per la raccolta della frutta e delle noci, attività che in passato erano sembrate troppo delicate da potere essere affidate ad attuatori meccanici.
SENSORI E TRACCIABILITÀ RFID
Dopo le operazioni di raccolto, i sensori RFID possono essere utilizzati per tracciare il cibo dal campo al negozio. Rivenditori e consumatori finali saranno in grado di seguire un percorso dettagliato di tracciabilità del prodotto, risalendo tutta la filiera. Questa tecnologia potrebbe aumentare l’affidabilità dei produttori e la loro responsabilità nel fornire prodotti freschi e sicuri. Questi sistemi di localizzazione potrebbero anche ridurre l’apprensione per quanto riguarda gli allergeni e i requisiti di salute per i consumatori.
MACHINE LEARNING E ANALYTICS
Forse una delle aree più innovative della trasformazione digitale è la capacità di utilizzare l’apprendimento automatico e l’analisi avanzata per estrarre conoscenza dai dati raccolti. Questo può iniziare molto prima della semina. L’apprendimento automatico può predire quali tratti e geni saranno i migliori per la produzione di colture, dando agli agricoltori di tutto il mondo i semi migliori in rapporto alla posizione geografica e alle condizioni di coltivazione. Gli algoritmi di apprendimento automatico possono essere utilizzati per rendere più trasparente il processo produttivo ma anche per fornire in tempo reale KPI con i consumi del mercato.
IL SEME DELL’INNOVAZIONE
Il digitale migliora la competitività dell’agroalimentare italiano. Secondo i risultati della ricerca dell’Osservatorio Smart Agrifood del Politecnico di Milano condotta insieme al Laboratorio RISE dell’Università degli Studi di Brescia, l’Agricoltura 4.0 ha un mercato in Italia di circa 100 milioni di euro, il 2,5% di quello globale. Nonostante i benefici in termini di riduzione dei costi, di qualità e resa del raccolto, la diffusione di queste soluzioni è ancora limitata e oggi meno dell’1% della superficie coltivata complessiva è gestito con questi sistemi. Molte PMI italiane si stanno attivando nella trasformazione digitale dell’agroalimentare, ma una forte spinta innovativa proviene dalle nuove imprese, con 481 startup internazionali Smart AgriFood nate dal 2011 ad oggi, di cui 60, ben il 12%, italiane. «L’innovazione digitale nell’agroalimentare si manifesta dalla produzione in campo alla distribuzione alimentare, passando per la trasformazione e può garantire competitività a uno dei settori chiave per l’economia italiana, che contribuisce per oltre l’11% del PIL e per il 9% sull’export» – ha spiegato Filippo Renga, condirettore dell’Osservatorio Smart AgriFood. «Lo Smart AgriFood da un lato può ridurre i costi di realizzazione di prodotti di alta qualità, dall’altro far crescere i ricavi grazie a una maggiore riconoscibilità o garanzia, ad esempio con sistemi di anticontraffazione o di riduzione dei prodotti non conformi esportati. Ma l’innovazione digitale consente anche di intervenire a supporto dell’intera filiera, garantendo sostenibilità a tutti gli attori del settore, inclusa la produzione in campo».
SMART AGRICULTURE IN CAMPO
Considerato il ruolo “propulsivo” delle startup italiane che stanno dando un contributo sostanziale nell’innovazione del settore agricolo, Data Manager ha scelto di approfondire lo stato dell’arte proprio con una realtà come Evja, startup con sede a Napoli, attiva nei settori Internet of Things e Smart Agricolture. Quando si parla di agroalimentare, l’Italia è tra gli attori principali sia per quanto riguarda la produzione che l’immagine associata al settore. Ma come è possibile mantenere questa leadership se non si investe in innovazione? Abbiamo girato la domanda a Davide Parisi, CEO di Evja, secondo il quale la parola chiave è “smart agriculture” che comprende un ampio insieme di innovazioni tecnologiche volte a migliorare i processi della filiera agricola e a portare le aziende nell’era dell’Agricoltura 4.0. Le soluzioni smart che si sono sviluppate recentemente spaziano dai sensori ai droni, dalla tecnologia satellitare al machine learning e ai big data. Il tutto, ovviamente, applicato a un settore come quello agricolo che solo a un occhio non attento può sembrare geneticamente refrattario all’innovazione, ma che invece è in grado da sempre di evolversi in una dialettica continua tra conservazione e cambiamento.
In questo contesto, Evja ha progettato OPI, un sistema di supporto decisionale per aziende agricole basato su sensori e algoritmi previsionali. «OPI ha attirato subito l’attenzione – ha dichiarato Paolo Iasevoli, COO di Evja – e siamo stati invitati a presentarlo a eventi importanti come il Mobile World Congress di Barcellona, lo SMAU Berlin, il World Food India di Nuova Delhi e il World Agri-Tech Summit di San Francisco, come unico prodotto non americano sul palco». OPI è un sistema integrato hardware/software. Il nodo-sensore viene installato in campo per il monitoraggio in tempo reale dei fattori critici delle colture, come umidità, temperatura, radiazione solare e bagnatura della foglia. «I dati raccolti vengono inviati al sistema centrale con rete mobile o sfruttando la tecnologia LoRa, un network che finora ha visto ben poche applicazioni in agricoltura. Il successo di questa scelta era tutto da verificare, ed è stato validato direttamente sul campo» – ha spiegato il CTO Antonio Affinito.
Riuscire a capire cosa succede nel campo guardando semplicemente lo smartphone offre vantaggi enormi agli agricoltori, ma OPI va anche oltre. Qui entra in gioco il software, che grazie ad algoritmi previsionali riesce a prevenire l’insorgere di malattie e a rendere più efficiente l’utilizzo delle risorse idriche per l’irrigazione. Tra i modelli previsionali integrati, Evja ha sviluppato anche il primo modello in Europa per la prevenzione della peronospora nella varietà di “Baby leaves”. «In concreto, questo significa che il raccolto finale avrà un residuo più basso – ha spiegato il CEO di Evja Davide Parisi – e gli imprenditori agricoli ne ricaveranno un doppio vantaggio: risparmio in fitosanitari e prodotto più salubre».
Quando si parla di innovazione, è però fondamentale non fermarsi mai. Per questo la missione di Evja di portare l’agricoltura al livello 4.0 continua con nuove sfide. «Stiamo lavorando intensamente sull’evoluzione continua sia di OPI che dell’azienda» – ha dichiarato Iasevoli. «Dopo l’ingresso nel capitale sociale di due colossi del settore come la tedesca BayWa e l’austriaca RWA, stiamo preparando un percorso di scambio tecnologico con Deutsche Telekom e Microsoft». L’obiettivo è chiaro: mantenere alta la competitività delle aziende agricole, rendendole sempre più smart.