Il Senato USA reintroduce il ban a ZTE

La decisione di Trump di trovare una via di incontro con il governo cinese non piace ai senatori che hanno scelto una direzione opposta

Democratici e repubblicani non hanno visto di buon occhio la volontà di Donald Trump di soprassedere, in qualche modo, al divieto di commercializzazione sul suolo americano per ZTE. Alla compagnia cinese, rea di aver violato alcune norme USA, tra cui la vendita di hardware a paesi considerati ostili come l’Iran e la Corea del Nord, era stato imposto un blocco di sette anni nei quali la multinazionale non avrebbe potuto ottenere da fornitori a stelle e strisce materiali per la produzione di dispositivi mobili e reti infrastrutturali, già presenti in tante parti del mondo. Senza le varie Qualcomm, Intel e ARM, ZTE si ritrova priva di una reale prosecuzione della propria linea di realizzazione mobile, un business che l’ha fatta balzare ai vertici del mercato globale.

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Cosa sappiamo

Il risultato immediato è stato un blocco temporaneo delle fabbriche negli Stati Uniti e, poco dopo, in Cina. A rischio anche la licenza software Android, legata a Google, una società che è tra le portabandiera dell’economia USA nel mondo. Dopo alcuni incontri tra i delegati di Washington e di Pechino, si era giunti alla possibilità di far pagare a ZTE oltre 1 miliardo di dollari in penalità; una cifra pesante ma che avrebbe permesso alla compagnia di riprendere a lavorare nel paese.

Una strada alternativa che il Senato non ha mai visto di buon occhio e che nelle ultime ore è stata ufficializzata in un voto schiacciante. 85 delegati contro 10 si sono esposti per ripristinare il ban alla cinese, senza possibilità di reintegro a fronte di un esborso economico. Troppo alto il rischio per la privacy di cittadini e funzionari. Eppure la decisione è ancora lontana dal diventare legge. La Casa Bianca ha già detto di volerla trasformare in carta straccia prima che venga formalizzata. Ciò dipenderà dal numero di parlamentari repubblicani coinvolti nella stesura del documento pro-ban, che dovrebbe comunque passare dalla Camera dei rappresentanti per entrare nell’iter legislativo USA.

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