Microsoft compra Semantic Machines per potenziare Cortana

cortana

Microsoft ha acquisito Semantic Machines, azienda americana specializzata in AI applicata al linguaggio, per consentire a Cortana di sostenere una vera conversazione

La concorrenza nel campo degli assistenti personali è sempre più agguerrita. Le AI ora sono la normalità sugli smartphone e con una certa rapidità hanno già conquistato anche i dispositivi domestici. Google Assistant ad esempio è già presente su oltre 5mila diversi prodotti di smart home in tutto il mondo. Le grandi aziende del settore hi-tech non possono fare a meno di continuare a migliorare i rispettivi software e Microsoft ha quindi pensato di puntare su un approccio più umano. L’azienda di Redmond ha quindi acquisito Semantic Machines, aziende californiana specializzata in AI applicata al linguaggio, per permettere a Cortana di sostenere una conversazione esattamente come farebbe un interlocutore in carne e ossa. In questa azienda lavorano professori delle università di Berkeley e Princeton e anche Larry Gillick, ex dipendente di Apple che ha contribuito allo sviluppo di Siri.

TI PIACE QUESTO ARTICOLO?

Iscriviti alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato.

Microsoft in un post ha sottolineato che “siamo ancora all’inizio nell’insegnare ai computer a capire il contesto completo della comunicazione umana” in quanto chatbot e altri software simili sono in grado di rispondere a comandi semplici (riproduzione di brani musicali, accensione delle luci domestiche, ricerca di contenuti sul web, etc.) ma non sono in grado di “capire il significato e portare avanti una conversazione”. L’azienda di Redmond, che sta lavorando a un visore per la mixed reality insieme a Samsung, si è posta l’obiettivo di realizzare una versione di Cortana che possa dialogare davvero con l’uomo o come lei stessa la definisce un'”intelligenza artificiale conversazionale”. Huawei invece ha scelto un approccio diverso. L’azienda cinese si è concentrata per dare un lato umano ed affettivo alla sua AI.

Leggi anche:  L'omnicanalità: quel concetto demodé