La quarta rivoluzione industriale è una sfida darwiniana per qualsiasi impresa. I rischi e i pericoli di una trasformazione tanto radicale quanto imprevedibile richiedono la capacità di affrontare le incognite del presente con un rinnovato slancio verso il futuro
Quando parlano delle tecnologie più rilevanti per il futuro delle proprie attività, molti imprenditori e manager italiani esprimono precise indicazioni in merito, come se fossero portatori di una chiara visione del futuro della propria azienda e avessero già tracciato, almeno mentalmente, una traiettoria evolutiva orientata in una direzione determinata: molto spesso evidenziano l’importanza delle piattaforme per la mobility, la rilevanza del cloud oppure dei big data, altre volte si soffermano su paradigmi ancora più complessi e caliginosi come l’Internet of Things.
TECNOLOGIA E DECISIONI
In realtà, quando si va ad approfondire il modo in cui la visione tecnologica influenza le decisioni più immediate che si affrontano nel presente, si osserva molto spesso una totale neutralità ed equidistanza di posizioni: per esempio, se si guarda a temi come gli investimenti nella sicurezza IT oppure agli adempimenti previsti dal GDPR, credere che il futuro della propria azienda dipenda dal cloud oppure dai big data oppure da qualsiasi altra visione del futuro, in generale influenza in misura piuttosto irrilevante le scelte di investire in nuova tecnologia oppure di mettere a posto i processi, ovvero il comportamento concreto delle imprese con una “forte visione tecnologica” non si discosta in misura significativa da quelle imprese che non hanno, in realtà, nessuna opinione precisa. Quindi viene naturale chiedersi se gli imprenditori, quando raccontano la propria visione del futuro, diano voce a una qualche forma di pianificazione strategica, ancorché primitivamente abbozzata, oppure esprimano soltanto un generico “wishful thinking”, non dissimile dall’uomo della strada.
VISIONE FRAGILE?
Ad alcuni questo potrebbe sembrare un tema del tutto lunare, se non fosse che si sta attraversando un periodo storico molto tormentato, che vede l’Europa combattere per mantenere la propria posizione nell’economia mondiale di fronte a complessi industriali e militari come la Cina, la Russia e gli USA (senza dimenticare ovviamente le cosiddette “economie emergenti” di India e Brasile, che sono già emerse da vent’anni almeno); che vede l’Europa arrancare a grandissima distanza dagli USA sul terreno dell’economia digitale (basti osservare la presenza del tutto trascurabile delle imprese digitali europee nella capitalizzazione delle borse internazionali); e infine che vede l’Europa lanciarsi in una rincorsa disperata attraverso i programmi nazionali per l’Industria 4.0 promossi da Governi di qualsiasi colore e posizione politica. Se si calano le considerazioni di imprenditori e manager italiani in un contesto più generale, diventa più chiaro che una visione tecnologica talvolta un po’ fragile potrebbe di fatto rappresentare un problema, ritardando in larga misura il progresso della competitività europea rispetto ai concorrenti internazionali.
INVESTIMENTI E TRASFORMAZIONE
Sempre più spesso si sente parlare della necessità di riposizionare il sistema produttivo italiano indirizzando gli investimenti in innovazione tecnologica con una politica industriale che si rivolga verso obiettivi come la Trasformazione Digitale e l’Industria 4.0. Tuttavia, considerando la struttura industriale dell’Italia, quando il policy maker si incammina verso traguardi così ambiziosi, diventa piuttosto difficile procrastinare alcuni interrogativi in merito al destino delle PMI, soprattutto quando sono chiamate ad affrontare sfide tecnologiche senza precedenti. Il dubbio che si insinua è che molte imprese, impegnate lecitamente come sono nel raggiungimento dei propri obiettivi più immediati sul mercato, trascurino in qualche modo la necessità di mettere lo stesso impegno nella definizione di obiettivi che si possono esprimere al meglio soltanto nel medio e lungo termine, come gli obiettivi di innovazione tecnologica.
LA PROGETTUALITÀ DELLE PMI
Osservando più da vicino la progettualità che esprimono le PMI, è confortante osservare un certo grado di correlazione e coerenza tra priorità IT e priorità aziendali, quindi esiste forse concretamente la possibilità di allineare obiettivi più immediati e traguardi più lontani, trovando effettivamente un terreno fertile per recepire gli stimoli di politica industriale di questi ultimi anni. È senza dubbio possibile immaginare una sinergia virtuosa tra IT e LOB purché qualunque investimento legato all’Industria 4.0 continui a battere sui temi quali la produttività del lavoro, la marginalità dei prodotti e la gestione dei rischi. Se è impensabile giocare un ruolo nella quarta rivoluzione industriale senza coinvolgere profondamente le PMI che rappresentano la quasi totalità del tessuto industriale italiano, allora diventa indispensabile chiedersi come aiutare le imprese meno strutturate ad affrontare alcune sfide inevitabili che incroceranno lungo il cammino della trasformazione digitale, come per esempio la sicurezza delle infrastrutture.
INFRASTRUTTURE E SICUREZZA
Un qualsiasi brevissimo excursus sulle ultime vicende della cybersecurity non può non lasciare attoniti di fronte alla fragilità delle infrastrutture tecnologiche delle imprese, vulnerabilità che lasciano spazio a una crescente sofisticazione degli attacchi, che attraversano livelli sempre più profondi dello stack ISO/OSI, come il firmware degli hard-disk (come nel caso di GrayFish/ EquationDrug), oppure alcuni meccanismi di esecuzione dei processori (come nel caso dei recentissimi MeltDown e Spectre). Sebbene siano piuttosto familiari i nomi dei primi strumenti di cyberwarfare (come Stuxnet, Duqu, Flame, ormai passati alla storia), non è altrettanto noto che tali strumenti sono sempre più prossimi nell’essere disponibili a chiunque dopo che alcuni insiders hanno trafugato l’intero arsenale di cyberweapon sviluppato da alcune agenzie americane: in seguito ai casi Vault7 e Shadow Broker, lo scenario è diventato assai più pericoloso, con una vera e propria pandemia di ransomware che ha flagellato i sistemi di organizzazioni in mezzo mondo, molto spesso basato su tecnologie trafugate da CIA e NSA.
IL RUOLO STRATEGICO DELLA SICUREZZA
Nonostante il rischio IT si sia così radicalmente amplificato negli ultimi anni, prefigurando situazioni in cui uno zero-day potrebbe davvero avere sostanziali ripercussioni sul PIL di una nazione nel prossimo futuro, gli imprenditori e i manager europei più lungimiranti mostrano comunque il coraggio e la forza di muovere i primi passi su paradigmi come l’Industry 4.0, seppure in un contesto generale, come quello italiano, dove forse prevale ancora una sensibilità limitata rispetto ai rischi che si corrono e agli investimenti che sono indispensabili per affrontarli in modo sostenibile. Infatti, circa il 47% delle PMI spende in modo del tutto saltuario rispetto alla sicurezza IT, mentre circa il 49% spende esclusivamente nell’ambito delle spese generali per l’IT. Il fattore davvero preoccupante è che soltanto il 4% delle PMI considera la sicurezza IT una spesa strategica a cui riservare un budget specifico e dedicato quest’anno. Il ruolo strategico della sicurezza cresce fino a circa il 30% solo quando le imprese stanno concretamente affrontando qualche specifico progetto in ambito Industry 4.0. Questo è un indizio interessante che consente di osservare che in alcuni casi, seppure limitati, le PMI possono esprimere una coerente visione tecnologica per il proprio futuro mettendosi allo stesso piano, almeno in termini di principio e credibilità, con le grandi imprese.
Giancarlo Vercellino, research and consulting manager di IDC Italia