«Non siamo un paese innovativo. Ma siamo un paese di innovatori» – ha dichiarato l’economista Marco Vitale in apertura dei lavori del convengo di Inaz dedicato al percorso dell’impresa nell’era digitale. La rivoluzione tecnologica si porta dietro paure ma anche opportunità per imprese e lavoratori. Perché come ha detto l’AD e presidente Linda Gilli, si cresce solo innovando e mettendo al centro il fattore umano. «La digitalizzazione sta cambiando il mondo e inevitabilmente anche il lavoro. Tutte le imprese, sia private che pubbliche, devono percorrere questa strada per crescere e durare nel tempo».
La conferma arriva anche dai numeri commentati da Virginio Cantoni, professore di sistemi per l’elaborazione delle informazioni all’Università di Pavia. Se è vero che l’Italia è al 25mo posto nella classifica UE della digitalizzazione, che mancano 33mila specialisti in tecnologia e che siamo solo quarantesimi al mondo per punteggio GTCI (Global Talent Competitive Index), è però sorprendente notare che l’87% degli italiani si dichiara ottimista sugli effetti della digitalizzazione e l’85% dei lavoratori si dichiara disponibile a investire tempo libero per aggiornarsi. Siamo di fronte a un cambiamento evolutivo, e quindi non possiamo eluderlo. Per lo psichiatra e psicanalista, Alberto Maria Comazzi, le dita che si muovono in modo ossessivo e frenetico su smartphone e device di ultima generazione «hanno la funzione di scaricare l’energia enorme accumulata dal cervello, che ha bisogno di isolarsi nello schermo». Ma cosa ci riporta a una dimensione umana? «La memoria, con i sentimenti che a essa sono collegati».
Il convegno si è chiuso con la testimonianza di due giovani che vivono in prima persona la trasformazione digitale in azienda: Ludovica e Valerio Busnach, terza generazione di Inaz (sono i nipoti di Valerio Gilli, che fondò la società nel 1948) e che oggi ricoprono ruoli manageriali. Valerio Busnach ha ripercorso la storia di Inaz, che nel dopoguerra dotò l’Italia degli strumenti per una moderna organizzazione aziendale. Ludovica Busnach ha messo l’accento su quanto siano cambiate le aspettative lavorative dei giovani che entrano nelle aziende, ma non capiscono perché timbrare il cartellino o essere presenti in ufficio quando possono essere produttivi da qualsiasi luogo. I giovani cercano maggiore conciliazione famiglia-lavoro. Mettono al centro collaborazione e lavoro in team. Sanno usare gli strumenti digitali e social. E si aspettano di ritrovarli anche in azienda.