Come cambia la geografia delle startup e dell’innovazione? Modello americano e modello cinese a confronto. Il focus dei venture capital cinesi si concentra su intelligenza artificiale e semiconduttori
Il 2017 è stato un anno da record per i venture capital, e il trend è ancora di crescita per il primo trimestre del 2018. Come riportato nel Venture Pulse Report di KPMG, questo è il quarto trimestre consecutivo in cui si sono registrati oltre 45 miliardi di dollari di investimento a trimestre, dato abbastanza raro fino a non molto tempo fa. Lo scorso anno, sono stati investiti 157 miliardi di dollari a livello globale, numeri molto più alti di quelli raggiunti durante la bolla dotcom. Venticinque anni fa, oltre il 95% dei fondi venture capital erano statunitensi. Oggi, godono ancora del primato. Ma ancora per quanto?
LA GEOGRAFIA DEI VC
Mentre gli USA vantano il 44% del capitale investito dai VC, l’Asia si trova oggi al 40%, una crescita esponenziale rispetto a dieci anni fa, quando la percentuale era inferiore al 5%. La più grande novità degli ultimi anni è stata l’enorme crescita dell’influenza cinese nel settore del venture capital. Se un tempo la Silicon Valley era considerata la Mecca per gli imprenditori hi-tech sia per l’abbondanza degli investimenti sia per l’abbondanza di risorse umane con skill adeguate, oggi non c’è più un monopolio. Della Top Ten degli investimenti VC più importanti del primo trimestre di quest’anno – la cui quasi totalità appartiene al settore dei trasporti – la metà sono avvenuti in Asia. Come viene notato da Kai-Fu Lee di Sinovation Ventures, in Cina molti dei deal sono fatti su startup che importano idee americane. Tuttavia, esiste molta liquidità che viene investita anche in nuove tecnologie d’avanguardia, tra cui l’intelligenza artificiale e IoT. Questo dato non è assolutamente da sottovalutare, soprattutto in ottica geo-politica, viste le implicazioni che possono avere queste nuove tecnologie in ambiti militari e di cybersecurity. La Cina non è l’unico paese con particolare importanza nel territorio Asiatico. Il più grande player mondiale di oggi è Softbank, dal Giappone. Lo scorso anno, Masayoshi Son è riuscito a convincere investitori dal medio-oriente ad aiutarlo ad aprire il suo Vision Fund, il più grande fondo d’investimento al mondo dedicato alle tecnologie sulle quali poggeranno le basi del nostro futuro.
CINA SOLO PER LA CINA?
Tuttavia, l’attenzione maggiore viene attualmente rivolta agli investimenti cinesi. Con la guerra dei dazi tra Stati Uniti e Cina, il mondo startup è tra i settori considerati a minor rischio, in quanto le tariffe sono attese soprattutto per industrie più tradizionali come per esempio quella manifatturiera o agricola. Le aspettative sono molto positive per i cinesi, in quanto gli investimenti sono cresciuti di ben 15 volte rispetto al 2013. Questo è stato possibile grazie alla crescita di colossi come Alibaba e Tencent, che a loro volta investono nell’ecosistema startup locale, così come anche la nascita di numerosissimi fondi che hanno raccolto decine di miliardi di dollari. Questi investimenti sono stati principalmente focalizzati su startup cinesi e il mercato sta rallentando poiché molte delle startup in questione hanno facilità a raccogliere milioni di utenti nel proprio paese – o in Asia – ma rimanendo quasi del tutto sconosciute all’estero. Da queste difficoltà, la Cina sta cercando di difendersi aumentando gli investimenti all’estero. Infatti, nell’ultimo anno questi sono più che raddoppiati. Il proliferare di investimenti in startup di altri paesi asiatici da parte dei venture capital cinesi, come per esempio l’India, si rivela davvero efficace perché le tecnologie sviluppate dai cinesi appaiono più adatte al mercato indiano rispetto a quelle americane. Basti pensare a Madhur Deora di Paytm, società di pagamenti online cinese-indiana che ha raccolto prima 800 milioni di dollari da Ant e Alibaba e ulteriori 1.4 miliardi di dollari da Softbank, poco dopo.
INTELLIGENZA ARTIFICIALE E SEMICONDUTTORI
L’aspetto interessante è che a differenza dell’attività di VC occidentale, i fondi cinesi investono con logiche collegate a un aspetto politico e non solo prettamente finanziario. Molti fondi di venture capital cinesi, infatti, sono finanziati anche dal governo di Pechino. Il focus è ad oggi l’intelligenza artificiale e il potenziale controllo del settore dei semiconduttori, che usiamo nella quasi totalità dei prodotti tecnologici di tutti i giorni. In virtù dell’approccio geopolitico al mondo dei venture capital, alcuni investitori cinesi sono convinti che USA e Cina si spartiranno i mercati tecnologici di tutto il mondo. La principale differenza sta meramente nell’approccio per ottenere questo controllo. Gli americani cercheranno di creare il prodotto migliore per convincere il mondo a usarlo, i cinesi tenteranno di acquisire un partner locale di ogni paese per poter competere con gli americani. Una dimostrazione di come si sviluppa tale battaglia di approcci è la situazione che si è sviluppata tra Uber contro Grab nel sud-est asiatico o contro Ola in India. Un altro esempio è l’investimento di 5 miliardi di dollari da parte di Amazon per poter dominare il mercato indiano, contrastato da investimenti miliardari da parte dei cinesi nell’e-commerce indiano Flipkart. La differenza nell’approccio di investimento si riflette anche in dettagli dei deal che sono molto diversi tra gli investitori americani e quelli cinesi, come descrivono Garry Bruton e David Ahlstrom. Gli investitori cinesi sono abituati ad avere scarsa disponibilità di documenti per due diligence, e si concentrano di più nel valutare le persone del team e il loro background. Inoltre, come si potrebbe intuire, dopo un deal gli investitori cinesi sono molto meno invasivi nei processi delle startup nelle quali hanno investito rispetto agli americani, proprio per mantenere l’identità della società finanziata all’estero.
QUALE SCENARIO?
Un editoriale dell’agenzia di stampa Xinhua suggerisce agli USA di “superare l’allergia agli investimenti cinesi”. Ma sembra che anche in questo settore le misure di controllo potrebbero intensificarsi. Lo scorso anno, gli investimenti dei Cinesi negli Stati Uniti sono scesi del 35% rispetto al 2016, secondo un’analisi del Rhodium Group. Il giro d’affari tra i due paesi è di 29 miliardi di dollari, che resta il secondo miglior risultato di sempre per la Repubblica Popolare in America. Sulla tendenza, hanno influito in primo luogo i controlli accurati sugli investimenti cinesi all’estero, per impedire operazioni economiche “irrazionali”. A fare il resto è stato il rigido monitoraggio del Comitato sugli investimenti stranieri negli Stati Uniti (CFIUS), che ha impedito diverse acquisizioni cinesi per ragioni di sicurezza nazionale. «Il modello americano, soprattutto quello degli ultimi 20-30 anni, è fondamentalmente militare. Quello propugnato dalla Cina è invece un modello economico e politico, con minori investimenti, minori rischi e maggiori guadagni». In altre parole: «Gli USA bombardano e si fanno molti nemici. I cinesi non bombardano, comprano e spendono di meno». È il pensiero di Alberto Forchielli, managing partner del Fondo Mandarin, primo fondo di private equity ad aver ottenuto capitale in gestione dal governo cinese. Sono più di dieci anni che sentiamo parlare del prossimo dominio cinese. L’America vince ancora grazie alla tecnologia e investendo attraverso i venture capital sulle startup ad alto impatto innovativo. Questo mancava alla Cina. Ma adesso forse non più.