Industria 4.0, ridurremo il gap con l’Europa?

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All’inizio di febbraio sono stati resi noti i risultati raggiunti nel 2017 dal Piano Industria 4.0: rispetto all’anno precedente sono aumentati dell’undici per cento gli investimenti in innovazione, addirittura del 13 per cento per macchinari e altre apparecchiature per l’automazione. Due imprese manifatturiere su tre hanno dichiarato di aver effettuato investimenti secondo quanto richiesto dal Piano. Il ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda – commentando i dati – ha parlato di «crescita con percentuali cinesi, molto superiore a quella tedesca».

Industria 4.0, che oggi ha preso il nome di Impresa 4.0, ha trainato anche l’esportazione di beni: il mercato dei macchinari, per esempio, è cresciuto dell’otto per cento più di quanto fatto da tedeschi e francesi. Il forte aumento degli investimenti è favorito dalla cosiddetta “Nuova Sabatini”, che facilita l’accesso al credito delle imprese, e più ancora da iperammortamento e superammortamento, che permettono di valutare fino al 250 per cento i beni acquistati, purché siano dispositivi con tecnologie in grado di abilitare la trasformazione in chiave 4.0.

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L’innovazione è dunque alla portata di tutte le aziende, anche piccole, che vogliono cogliere le opportunità legate alla quarta rivoluzione industriale. Da questi dati, si evince che gli incentivi dati alle imprese che creano lavoro sono più efficaci delle agevolazioni fiscali automatiche date “a pioggia”. Non a caso, queste misure sono state prolungate anche per l’anno in corso, per continuare ad alimentare il motore della crescita.

Tra i cambiamenti che Industria 4.0 sta apportando alle fabbriche, ci sono: l’interconnesione digitale della produzione, con la diffusione degli oggetti sempre connessi; l’interazione uomo-macchina che passa per l’informatica; l’introduzione di realtà virtuale e realtà aumentata. Tutte tecnologie che ottimizzano efficienza e produttività. Al centro di tutto, i Big Data, cioè la mole di dati che le macchine raccolgono, per monitorare in tempo reale quanto succede negli impianti, e gli analytics, in grado di analizzare questi dati e trovare informazioni utili in modo più rapido. Secondo IDC, i leader lungimiranti che adottano il cambiamento si rivolgono proprio a tecnologie come i Big Data e gli analytics per trasformare le loro organizzazioni e competere efficacemente in un ambiente sempre più digitale: oggi, stare fermi significa perdere terreno. I grossi cambiamenti tecnologici e organizzativi in atto stanno cambiando rapidamente anche professioni e competenze, basti pensare che – oggi – le professioni più richieste – dieci anni fa – non esistevano.

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Impresa 4.0 prevede per quest’anno una seconda fase, con incentivi fiscali sulla formazione 4.0, perché è anche necessario – secondo il ministro dello Sviluppo Economico – «gestire il rischio di disoccupazione tecnologica e massimizzare le nuove opportunità lavorative». Tra gli argomenti, spiccano robotica avanzata e collaborativa, manifattura additiva, realtà aumentata, integrazione digitale dei processi aziendali, cloud computing, big data analytics. Obiettivo del triennio è formare su questi temi 200mila studenti universitari e tremila manager, e creare 1.400 dottorati di ricerca con focus sul tema. Se nella formazione, i risultati fossero simili a quelli ottenuti lo scorso anno nei macchinari, potremmo davvero ridurre drasticamente il gap, ancora importante, che abbiamo con gli altri paesi europei: oggi, ha elevate competenze digitali solo il 29 per cento della forza lavoro italiana (dati MiSE), contro il 39 per cento di quella tedesca e il 50 per cento di quella britannica. Insomma: chi si ferma, e chi non si forma, è perduto!

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