Processori sotto processo. Solo loro?

Le tecniche di evasione da conoscere per prevenire gli attacchi e le compromissioni

Dopo tanti anni a pensare a bug capaci di deteriorare i nostri software, la vicenda dei bug nei microchip ci costringe a fare i conti con la fragilità dell’hardware

L’inizio d’anno non si è fatto certo mancare i fuochi d’artificio. Lo spettacolo pirotecnico che maggiormente rimarrà impresso nella nostra memoria è senza dubbio la vicenda dei bug nei microchip. Chi, incredulo per la notizia, ha esclamato “porco cane!” dimostra una certa conoscenza del calendario cinese, ma l’aggiunta “suina” esubera la classificazione del 2018. È cominciato in anticipo l’anno del cane, che a rigore avrebbe dovuto vedere l’alba il 16 febbraio. Il maiale arriverà nel 2019 e chissà quante altre volte l’imprecante abbinamento verrà profferto prima di allora.

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La storia della “cardiopatia” dei nostri computer è una pagina triste che disincentiva qualsivoglia tentativo di scherzare in proposito e che induce a fare tutte quelle riflessioni che nel tempo abbiamo rinviato, sbuffando l’immancabile “ma figurati!” con cui si ribatteva ogni volta che si sentiva prospettare un potenziale pericolo o rischio. La traversia in questione non si ferma alla drammatica constatazione di una spiacevole vulnerabilità, né alle conseguenti considerazioni che spingono anche i più incauti a preoccuparsi.

Gli immancabili complottisti (e con loro molta gente che non crede alle scie chimiche o ad altre solenni amenità che affollano il web) non si sono lasciati sfuggire un dettaglio che la cronaca – almeno dalle nostre parti – si è guardata bene dal porre nella dovuta evidenza. Quel birbaccione di Brian Krzanich, amministratore delegato dell’azienda protagonista della debacle tecnologica, a novembre avrebbe venduto il 60 per cento delle sue azioni Intel. Ha incassato 39 milioni di dollari guadagnandone 25: sbalorditivo fiuto per le plusvalenze da non lasciarsi scappare, oppure funesto presagio di catastrofiche riverberazioni immediatamente conseguenti la possibile diffusione della notizia della falla nei microchip?

Il calendario non si presta ad alleggerire i sospetti dei più maligni. La breve distanza tra la fortunata cessione delle quote e la sventurata propagazione della voce che il processore esponeva gli utilizzatori di pc, tablet e smartphone a seri problemi lascia spazio ai cattivi pensieri. Che Krzanich sapesse o non sapesse, poco cambia. L’etica è come il microchip, non si modifica. L’esser per bene non prevede patch o aggiornamenti integrativi. Il problema tecnico, però, purtroppo resta. E il problema non è quello della falla appena scoperta. O almeno non è solo quello. Il vero guaio è che, dopo tanti anni a pensare a virus o bug capaci di deteriorare i nostri software, siamo costretti a fare i conti con la fragilità dell’ingrediente “ferroso”, quell’hardware che si dimostra meno duro di quanto si potesse etimologicamente immaginare.

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Se un microprocessore comincia a sbagliare o si inchioda cosa succede? E se un’intera serie di chip va fuori uso contemporaneamente? E se una azienda ha l’intero “parco macchine” con il medesimo processore? E se la stessa sorte toccasse a tutte le organizzazioni pubbliche e private? Fermiamoci qui, prima che qualcuno etichetti la mia storica rubrica come “catastrofista”. La storia dei primi di gennaio non ha riguardato un computer, cento, mille o un milione, ma ha coinvolto la quasi globalità degli apparati del Globo terracqueo. Stavolta si è trattato di una sorta di bazzecola, che ha tenuto desta l’attenzione nemmeno per una settimana. E se al prossimo giro – invece di qualche grattacapo per possibili violazioni della riservatezza (questioni di tutto rispetto, non mi si fraintenda) – ci si trovasse dinanzi a una tanto spettacolare quanto drammatica paralisi sincrona di tutti i dispositivi elettronici nelle case e negli uffici, come andrebbe a finire?

Non è fantascienza e, ahinoi, è rischio conosciuto e studiato da tempo. Torneremo a parlarne, speriamo solo per accademico divertissement. Nel frattempo chi vuole entrare nell’atmosfera, cerchi in Rete la “manchurian printer”. È un incubo già preventivato, niente paura, e nel prossimo numero ne discuteremo. Buon 2018.