IoT e Smart Industry. Fabbriche di dati

L’Internet delle Cose offre all’industria manifatturiera la formidabile opportunità di colmare il gap storico tra tecnologie “operative” e “informatiche” sfruttando la nuova intelligenza di impianti e oggetti per trasformare i processi di produzione e creare un “cortocircuito” positivo tra idee innovative e mercato

Ben oltre i consolidati campi applicativi della robotica industriale, la trasformazione digitale e i concetti di flessibilità e “predittività”, propri di un business ad alto contenuto informatico, sono definitivamente entrati nella “fabbrica” e in generale negli impianti di produzione fisici. Finora, molti ambienti di produzione hanno resistito a un massiccio ingresso di strumenti e pratiche IT ritenute oggi convenzionali. Il “controllo numerico” di macchine utensili di tipo elettromeccanico o pneumatico non è certo una novità, ma ha visto l’affermarsi di protocolli di comunicazione e interfacce utente proprietari, poco inclini a comunicare nativamente con l’IT esteso alla parte di amministrazione e governo complessivo dell’impresa, contribuendo a creare un divario tra “fabbrica” e “ufficio”. Oggi, l’Internet delle Cose può finalmente aiutarci a colmare questo gap.
Ma non si tratta solo di inserire le macchine, i robot e gli altri apparati in uno spazio di integrazione e governo basato su linguaggi e protocolli condivisi. Gli stessi singoli utensili, persino gli oggetti prodotti, possono ricevere una dose di intelligenza digitale che nel contesto visionario delle piattaforme per il product life-cycle management (PLM) di un prodotto industriale, della circolarità tra progettazione, produzione e marketing, dell’analisi storica e predittiva promossa da Big Data, sta appunto portando a una quarta rivoluzione industriale, che si misura non solo in termini di efficienza, qualità, produttività e riduzione dei costi ma anche sulla capacità di accorciare la filiera che va dall’ideazione al consumo dei prodotti industriali, innovando e trasformando tutti gli anelli di questa catena.

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DUE MONDI NON PIÙ SEPARATI

La tavola rotonda organizzata da Data Manager sull’IoT nella fabbrica intelligente e l’Industry 4.0 ha esplorato queste opportunità e gli ostacoli che ci separano dalla loro realizzazione. Il primo punto in discussione è ovviamente rappresentato dalle esperienze in materia di automazione e robotizzazione della fabbrica, nonché dell’adozione degli strumenti della trasformazione digitale in ambienti manifatturieri. Di grande interesse è anche la questione del governo di questi progetti, soprattutto in chiave di comunicazione tra mondi – Operations e IT – tradizionalmente separati. Quali figure vengono oggi chiamate a presidiare i percorsi verso l’Industry 4.0? Quali ruoli specialistici sono richiesti e in che modo si inseriscono nella governance complessiva dell’impresa? Quale grado di interdisciplinarietà è necessario adottare? La sicurezza – considerando che il digitale, proprio per la sua pervasività, estende inevitabilmente le superfici di “attacco” – è un tema che rimane costantemente sotto traccia intorno ai temi dibattuti dal panel. Infine, la portata di una sfida che dev’essere affrontata su più livelli, quello dei servizi e delle soluzioni ICT che affiancano le imprese manifatturiere nel lavoro di trasformazione; ma anche le leve, pertinenti alla sfera pubblica, della regolamentazione e incentivazione economica, della formazione e della selezione delle persone: non solo di quelle che sono le funzioni preposte alla trasformazione stessa, ma anche dei futuri operatori delle fabbriche robotizzate.

Daniela Rao, senior research & consulting director di IDC Italia apre i lavori con una breve serie di dati elaborati sulla scorta dell’Osservatorio IoT che la stessa IDC conduce su un campione di 800 imprese europee, interrogandole sull’impatto che le tecnologie della Internet delle Cose producono nelle rispettive organizzazioni. «Nella maggior parte dei casi le risposte indicano un impatto strategico» – spiega Daniela Rao. «L’IoT serve a ottimizzare i processi, aumenta la produttività, riduce i costi, impatta sulla qualità del prodotto». Tuttavia, sono ancora poche le imprese che hanno già superato una prima soglia di sperimentazione e sono attualmente in grado di portare certe soluzioni su scala industriale. «Dalle risposte ottenute dalle aziende italiane è però evidente – osserva Daniela Rao – che stiamo entrando in una fase nuova: cominciano a esserci soluzioni facilmente scalabili, più vicine alle esigenze delle imprese».

LA NUOVA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

Quali fattori guidano gli investimenti? «Dominano su tutte la volontà di migliorare produttività ed efficienza, ma anche di assicurare una migliore customer experience» – continua l’analista di IDC Italia. Soprattutto nel nostro Paese, a fare da driver sono l’incremento del numero di clienti e la riduzione dei costi di manutenzione, oltre all’interesse di cambiare le tradizionali modalità di lavoro. IDC si focalizza in modo più specifico sull’Industry 4.0, restringendo le sue analisi a circa 125 aziende manifatturiere. Interrogate sulle aree di maggiore priorità di investimento, le imprese evidenziano una maggiore propensione alla spesa in robotica avanzata (droni compresi), Big Data e IoT, a conferma di un contesto sempre più favorevole alla nuova rivoluzione industriale. La voce di spesa principale – la cybersecurity – è incollata al primo posto, ma subito dopo troviamo i tre pilastri della fabbrica digitale.

Daniela Rao conclude il suo intervento con tre previsioni formulate da IDC a partire da un grafico multifunzionale che comprende dieci aree identificate tra le più innovative per l’industria manifatturiera. «Entro il 2021, il 25 per cento dell’industria manifatturiera globale applicherà tecnologie di machine learning su diversi livelli, dallo sviluppo digitale alla supply chain, passando per la diversificazione dei prodotti e dei modelli di business innovativi». Addirittura, entro il 2010, circa venticinque aziende globali avranno raggiunto un livello “managed” della trasformazione «omni-experience», che – secondo Daniela Rao – significa in pratica essere in grado di raccogliere e reagire alle richieste del client in modo più efficace. «Per il restante 75 per cento, il rischio è di aumentare l’attrito nei confronti dei clienti e assistere a una graduale diminuzione della capacità di acquisto e della competitività». Terza e ultima anticipazione: «Entro il 2020, il 65 per cento dei produttori industriali faranno uso di tecniche di simulazione e digital twin, i modelli digitali “gemelli” dei prodotti fisici. In altre parole, si serviranno delle tecnologie della virtualizzazione e dell’automazione per intervenire digitalmente su asset e prodotti, ridurre i costi e migliorare l’erogazione dei servizi».

GLI ARTISTI DELLA SCOCCA

Seduti intorno al tavolo nella sala, acusticamente isolata ma sospesa, del grande “showroom” di Geico Taikisha, i partecipanti vedono davanti a sé, attraverso l’enorme parete trasparente, un esempio non banale di ambiente di produzione già altamente automatizzato che rientra a pieno titolo nella nuova fase di trasformazione descritta da Daniela Rao. Coadiuvato da Juan Sebastian Ávila, stagista del team di digital transformation management, il senior executive director R&D di Geico Paolo Colombaroli spiega il contesto di mercato in cui agisce il Gruppo e le diverse strategie Industry 4.0 in atto. «Geico – racconta Colombaroli ai colleghi – è uno dei pochissimi fornitori globali di impianti di verniciatura delle scocche per automobili. Da più di cinquant’anni, siamo uno dei leader a livello mondiale nella realizzazione e progettazione di impianti automatizzati chiavi in mano. L’ingegnerizzazione avviene in sede, ma la realizzazione degli impianti ha evidentemente luogo nelle fabbriche dei nostri clienti, per conto dei quali curiamo anche le fasi di avviamento». Sei mesi fa, Geico ha organizzato un evento speciale “Smart Paintshop”, proprio per presentare il suo concetto di impianto di verniciatura 4.0, dalla sua progettazione completamente virtualizzata fino alle personalizzazioni che agevolano il cliente all’interno dei rispettivi impianti di produzione. «Le motivazioni sono quelle illustrate da IDC Italia – osserva Colombaroli – per i vantaggi in termini di costi e organizzazione. Su altri aspetti, facciamo parte del folto gruppo di aziende che imparano con l’esperienza, come nel caso del manuale digitale per manutentori, consultabile non attraverso il tradizionale casco VR, ma con i meno ingombranti occhialini». La precisa geolocalizzazione delle varie frazioni di un sistema che prevede diversi tipi di lavorazione sulla stessa scocca (che può essere immersa in un bagno di fissaggio o “cotta” in un forno che polimerizza la vernice) è un altro progetto mirato al miglioramento dei flussi di produzione. «I primi test danno risultati favorevoli: il difficile è calarli in una lavorazione particolarmente “aggressiva”, per le sostanze e le elevate temperature».

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Attualmente, diversi momenti delle operazioni si svolgono manualmente, ma l’obiettivo è automatizzare ancora di più. «Stiamo per esempio sviluppando sistemi di visione robotica per identificare i difetti che possono compromettere la verniciatura. Abbassare la loro percentuale a monte può significare un enorme risparmio. E lavoriamo anche in ottica di raccolta dati – dalle pompe, i ventilatori, i bagni caldi e freddi – utilizzando, in casa dei clienti, sensori che richiedono però l’ulteriore complessità di specifici gateway». Ci sono diversi strati di informazione digitale che potrebbero in futuro impattare sulla qualità e i tempi del lavoro, fa capire il capo della ricerca di Geico. «Prima dell’ingegneria, sul progetto interviene un ufficio di avanprogetto che si occupa della valutazione. Questo ci consente di poter allestire, con poche persone, diversi progetti. Ma resta un gap da colmare: i dati che si perdono nel passaggio da una fase all’altra». Il percorso verso concept come lo Smart Paintshop – spiega Colombaroli – è organizzativo e si articola anche attraverso il team di lavoro che Geico ha dovuto mettere a punto. Il gruppo di avanprogetto utilizza un software di Configure Price Quote (CPQ) che lavora in cloud e può scambiare più informazioni con i sistemi PLM usati dall’ingegnerizzazione. Il piano Smart Paintshop è frutto di un anno e mezzo di lavoro svolto insieme a una società di consulenza interna al gruppo: da una matrice di attività da svolgere è stata ricavata una struttura per gruppi di lavoro coordinate da una nuova figura di organizzazione. Altre persone, riferisce Colombaroli, vengono delegate a partecipare a fiere e convegni, per fare scouting di nuove potenzialità di cui si studia la fattibilità. «La presenza di fornitori esterni è importante – conclude il responsabile R&D – ma è fondamentale sviluppare un know-how interno, anche per poter agire sul piano organizzativo». Juan Sebastian Ávila racconta per esempio di essere entrato nel team di Geico nel quadro di una collaborazione con il Politecnico di Milano, con cui Geico sta lavorando su un altro progetto 4.0 «Un impianto di trattamento dell’aria costituito da moduli indipendenti che si attivano e disattivano. Cerchiamo di fare in modo che questo impianto possa autoprogrammarsi, riducendo enormemente i costi di commissioning su sistemi che possono richiedere anche due anni tra progettazione e messa in funzione, spesso con notevoli spese di trasferta».

ROBOT COLLABORATIVI

Un risvolto ancora tutto da scoprire riguarda – secondo Flavio Bernocchi, chief information & communication technology di Comau – l’ownership delle informazioni generate dalla fabbrica intelligente. Una questione tutt’altro che banale all’interno del complesso sistema di relazioni che lega il produttore di robot e macchine utensili ai suoi clienti. «Comau nasce nel mondo dell’automazione – spiega Bernocchi – e i nostri centri di lavoro robotizzati si sono via via arricchiti di sensoristica esterna, per catturare informazioni finalizzate a ottimizzare la produttività o, in ottica di manutenzione, per anticipare i comportamenti non lineari dei robot». Oggi, sempre in chiave di manutenzione predittiva, al centro delle attenzioni di Comau c’è la possibile integrazione di sensori embedded. «Ma qui, le difficoltà sono strettamente legate a chi è proprietario dei dati. L’idea è lavorare sempre più come erogatori di servizio ancor più che venditori di robot, ma il modello economico non c’è ancora» – aggiunge Bernocchi. Il futuro secondo Comau ha in serbo anche la “robotizzazione” degli operatori umani. Insieme con la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, l’azienda torinese sta lavorando su nuovi progetti di robotica indossabile, veri e propri esoscheletri che l’operatore può programmare e “indossare” per svolgere determinati compiti. «La vera scommessa della smart factory sarà la flessibilità» – afferma Bernocchi. «Il nostro focus è esclusivamente sull’automotive, settore già fortemente automatizzato. Il grande tema che abbiamo davanti è l’auto del futuro, che utilizzerà motori elettrici, materiali compositi, e sarà a guida autonoma. Un oggetto che verrà progettato in modo completamente diverso, in fabbriche dal layout produttivo ancora da disegnare. E anche i volumi in gioco saranno differenti». Una logica, conclude Bernocchi, che sta passando dai robot che intervengono sul singolo pezzo a un cloud di automazione. Ma chi governa questo passaggio? «Al momento, procediamo per gruppi di lavoro dedicati alla fabbrica, l’Operations, e l’IT. Chi lavora sui robot si concentra su quel determinato know-how, anche se a livello di commessa la gestione globale richiede più collaborazione tra Operations e IT. Tra le due non c’è ancora una piena fusione culturale, se non a livello di singole divisioni d’azienda».

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Il fatto che l’ambiente di produzione riceva crescenti dosi di intelligenza e autonomia decisionale è scontato anche per chi, come Pegasystems, fornisce le piattaforme gestionali specifiche per i processi industriali. «Un cliente come John Deere – rivela Luigi Borgia, account executive di Pegasystems in Italia – introduce concetti di IoT attraverso sensori che misurano le performance dei trattori per ottimizzare i contratti di garanzia. A livello nazionale lavoriamo non più sulla predictive, bensì sulla prescriptive maintenance, e personalmente mi trovo ben rappresentato dalle analisi di IDC: il machine learning sarà davvero in cima alle priorità di investimento dell’industria manifatturiera globale, con sistemi di autoapprendimento che affiancano chi deve intervenire». Per prescriptive maintenance si intende, spiega Borgia, un percorso evolutivo che introduce insiemi di regole e metodi di business che servono a impedire l’insorgenza di un problema, facendo in modo che siano le stesse macchine a prendere l’iniziativa, per esempio, aggiornando il firmware di un sensore. «Mi piace sottolineare l’importanza dei gruppi di condivisione» – conclude Borgia. «Pegasystem fa parte dell’Industrial Internet Consortium (IIC) proprio per cercare di anticipare i temi dell’IoT in fabbrica e governare i cambiamenti».

CATENE DI MONTAGGIO PREVEGGENTI

L’effetto della robotizzazione sulla produttività è marcato in aziende come Industrie Saleri Italo, leader nella progettazione, sviluppo e produzione di pompe acqua e sistemi di raffreddamento per l’industria automotive, che nell’arco di cinque anni ha quadruplicato i fatturati. «Oggi, la produzione si attesta sui sei milioni di pezzi all’anno, ma le commesse in corso ci autorizzano a stimare per i prossimi due o tre anni un aumento del 40 per cento del fatturato» – afferma Luca Rota Caremoli, CIO dell’azienda di Lumezzane in provincia di Brescia. «Cinque anni fa in Saleri non c’erano robot. Oggi, se ne contano 160, che tuttavia non hanno sostituito le persone. I dipendenti sono quattrocento» – sottolinea Caremoli. «Il doppio rispetto a quando non avevamo robot». Molti dei temi al centro del dibattito attuale erano presenti anche nella prima fase dell’automazione. «Si acquistavano i robot per venire incontro alla crescita della domanda, ma non erano sistemi progettati in ottica 4.0, nessuno parlava di analytics. Il lavoro grosso è spiegare alla parte di operational technology (OT), che il robot è parte integrante del business: molto più simile all’operatore umano di quanto un tecnico con 25 anni di esperienza di lavoro possa pensare». Il CIO di Saleri riscontra anche un problema di latenza: «Le pompe prodotte finiscono a bordo delle auto finite solo dopo molti mesi, ma i dati del funzionamento sul campo potrebbero servire molto in produzione. Penso anche agli sviluppi dell’auto driverless. Come Saleri, non so nulla dei piani industriali dei vari costruttori di automobili, ma disporre di certe informazioni mi aiuterebbe molto a gestire i miei picchi di produzione, le scorte. La produzione avviene in periodi di tempo ristretti, su linee che sono personalizzate per cliente».

Il messaggio è chiaro. L’Industry 4.0 genera tanti più vantaggi quanto più il sistema di produttori e terze parti è interconnesso. Ma come si affronta un problema di data governance così articolato? Per non parlare delle implicazioni sulla sicurezza. Su questi punti interviene Mauro Cicognini, membro del direttivo e del comitato tecnico scientifico di CLUSIT. Nato come professionista della programmazione – proprio nel controllo dei robot industriali – l’esperto di cybersecurity spiega che abbiamo costruito una società in cui «il dato ha un peso gigantesco, spesso più di quanto siamo disposti ad accettare. E si fa fatica a spiegare che i bit possono valere più di un pezzo industriale». Lavorando in particolare con le utility energetiche, il mondo della sicurezza informatica è ormai conscio dell’esposizione al rischio anche in ambienti industriali. «I cattivi non esitano a sferrare i loro attacchi, se questo serve per fare soldi e non si fermano davanti a questioni di sicurezza logica o fisica. Purtroppo, in questo contesto di avvicinamento tra IT e OT, il contagio si trasmette alla parte industriale. Se pensiamo alla velocità di trasferimento dei dati e alla velocità di esecuzione dei robot nella linea di produzione della fabbrica, i rischi sono altissimi, ma è difficile spiegarlo a chi ha utilizzato un tornio tutta la vita».

INCENTIVARE LA COMPETITIVITÀ

Con Paolo Fila, CIO delle industrie alimentari Giuseppe Citterio, la discussione sull’IoT in fabbrica viene inquadrata in un filone storico che risale agli anni 90, con la produzione integrata di fabbrica o computer integrated manufacturing (CIM). «Già allora – ricorda Fila – si cercava una integrazione tra fabbrica e ufficio. La possibilità di integrare la fabbrica con quello che c’è fuori dalla fabbrica richiede standard che ancora non esistono: il robot di Comau è diverso da un robot giapponese». Anche all’interno del sistema produttivo Citterio, ci sono precisi obiettivi di tracciabilità delle preparazioni e del loro confezionamento che pongono importanti problematiche di integrazione e sicurezza. Fila cita il caso di un impianto di affettatura, collegato con l’esterno per gli interventi di manutenzione da parte del produttore tedesco. Una serie di controlli permise di rilevare che da quell’affettatrice venivano regolarmente inviati file verso indirizzi IP in Malesia. «IoT in Citterio significa implementare il dialogo tra le linee di produzione, che sono decine, e il gestionale. Devo riconoscere che la legislazione recente in materia di Industry 4.0 ha dato una grossa mano, riducendo il peso degli investimenti. Sotto la responsabilità del dipartimento IT, ci sono due persone che seguono questi progetti, con tutti i limiti di una realtà che fa prodotti molto tradizionali. Il nostro obiettivo è attrezzare di sensori tutte le macchine per avere a disposizione tutte le informazioni che possono aiutarci a migliorare i processi». Tuttavia, pur riconoscendo l’efficacia delle misure governative, Paolo Fila fa notare una differenza “ideologica” tra le misure messe in atto in Italia e gli analoghi incentivi in vigore in Germania: «Da noi, si punta a un risparmio fiscale. In Germania, si punta a favorire la competitività».

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Incentivi a parte, c’è un elemento di “democratizzazione” delle tecnologie sottolineato da Chiara Bogo, marketing director di Dassault Systèmes. La parola chiave è ancora una volta cloud computing. «La democratizzazione della quarta rivoluzione industriale vede convergere molte tecnologie e anche le piccole e medie industrie si trovano davanti al bivio degli investimenti in questa direzione» – spiega Chiara Bogo. «Il cloud favorisce i player più piccoli che possono accedere, in base alle necessità, alla 3D Experience Platform che Dassault sviluppa per gestire tutti gli aspetti dalla produzione automatizzata. Ma ormai anche le grandi imprese propendono per una soluzione in cloud perché questa modalità fa risparmiare anche sulle competenze di cui un’azienda può disporre». Per Chiara Bogo bisogna creare un ecosistema della conoscenza, puntando su «aziende, fornitori di software e scuole, per rendere possibile una rivoluzione sempre più interdisciplinare, dove sono necessarie comunicazione tra gli specialisti e modularità nelle soluzioni». Un fattore importante, quest’ultimo, per favorire nei progetti – e dunque negli investimenti – una gradualità che non può che favorire il cambiamento.

IT COME COORDINAMENTO E SINERGIA

Cambiamento atteso e dovuto, sembra dire Nicola Crotti, CIO di Bondioli & Pavesi Group, specialista del settore delle macchine agricole, per il quale realizza avanzati sistemi di trasmissione di potenza. «C’è ancora uno iato significativo tra chi oggi è all’avanguardia tecnologica come Geico e Comau e un’industria che nell’insieme fatica a introdurre innovazione» – afferma Crotti, responsabile IT di una azienda di 1.500 persone. Il problema della digital transformation per Bondioli & Pavesi si era posto da tempo, con una forte spinta proprio da parte dell’IT, che ha cercato di dare una governance unica, armonizzando diversi aspetti, inizialmente privi di un coordinamento centrale forte. «Da parte dei tecnici dell’Operations ci sono state diverse iniziative spontanee, non sempre condivise con il mondo dell’IT, con cui si è cercato di introdurre macchinari nuovi, con predisposizione all’IoT». All’IT aziendale, racconta Crotti, veniva chiesto di integrare, mettere a sistema, diversi tipi di informazione, per esempio, le misure sui flussi di olio di pressione. «Questi tentativi però erano realizzati in modo non coordinato e hanno creato diverse problematiche, soprattutto di sicurezza» – spiega Crotti.

«Il contributo che il dipartimento IT ha cercato di dare è proprio quello di fare da ponte, di introdurre sinergia, con le priorità identificate da IDC: l’aumento di produttività, la riduzione dei costi. Il primo passo è costruire i gateway necessari ad armonizzare i linguaggi di un parco macchine di circa seicento unità, facendo confluire i dati, attraverso un “edge” periferico a un cruscotto analitico. Un altro aspetto riguarda l’integrazione tra questo edge e il sistema ERP aziendale, nonché la non facile comprensione di quali informazioni è possibile estrarre, e con quali finalità. Tra i primi obiettivi, potrebbe esserci la manutenzione predittiva, ma i dati si potrebbero anche raccogliere dai prodotti finiti, introducendo la IoT anche in ambito logistico. Ci sono tante proposte, ma ancora non ci sono risposte chiare da parte del business» – conclude Crotti. «Dal punto di vista delle competenze, l’azienda ha deciso di servirsi della consulenza di un docente universitario. Personalmente, sento molto il bisogno di entrare in contatto con le università e con altre realtà aziendali, c’è molto da fare in questo senso ed eventi come questo sono importanti».

In conclusione, Fabio Ardossi, associate partner di Data Reply, sembra raccogliere quest’ultimo spunto, confermando che il system integrator torinese sta lavorando soprattutto su aspetti come l’integrazione e il “che cosa fare” con i dati raccolti. «Per chi come noi realizza piattaforme, una delle maggiori difficoltà della digitalizzazione degli ambienti fisici della fabbrica riguarda proprio la raccolta delle informazioni. Google non ha problemi nel farlo, sono i suoi utenti a generare le informazioni. Mettere una black box dentro un’automobile implica un lavoro di uno o due anni». Come risolvere il problema? «Ci sono situazioni in cui cerchiamo di semplificare il ciclo di vita dell’estrazione del dato, magari attraverso dispositivi di qualità più bassa, esterni, facili da implementare sulle linee di produzione» – spiega Ardossi. Questo approccio aiuta i clienti di Data Reply a partire più velocemente, per poi porsi successivamente il problema delle finalità delle informazioni ottenute dalla fabbrica digitale. «Dare una risposta non è facile perché le domande che ci poniamo oggi nascono da esperienze ventennali o trentennali. La trasformazione digitale è legata ai dati che raccolgo adesso, e alle decisioni che devo prendere per il futuro». Secondo Ardossi, un approccio utile può essere quello di affiancare il business con persone esterne che possano aiutare a leggere le informazioni. «In molti casi, è più utile un approccio bottom-up» – conclude Ardossi. «Inutile costituire squadre di data scientist, se i dati non sono disponibili. Partiamo dai dati, accumuliamo una serie storica, sviluppiamo un sistema di analytics. La ricetta pronta non c’è, ma è un modello di lavoro che può funzionare per tutti».


Le videointerviste ai protagonisti

Videointervista a Chiara Bogo, marketing director di Dassault Systèmes

Videointervista a Fabio Ardossi, associate partner di Data Reply

Videointervista a Luigi Borgia, account executive di Pegasystems