Il valore di una singola moneta scende a meno di 7 mila dollari quando due mesi fa era quasi a 20 mila. Secondo gli esperti è la conseguenza delle mosse paventate da banche e governi
A dicembre un Bitcoin valeva oltre 19 mila dollari, poco sotto la cifra storica dei 20 mila. Oggi, a nemmeno due mesi di distanza, la criptomoneta è scesa sotto quota 7 mila. Certo, non siamo ancora al minimo assoluto vissuto tra il 2016 e il 2017 ma il forte ribasso delle ultime settimane è un campanello d’allarme da tener presente.
Stando a Bitstamp, l’exchange di riferimento con sede a Lussemburgo, la valuta ha perso oltre il 15% questo lunedì, fermandosi a 6.853 dollari e perdendo terreno in sei delle ultime otto sessioni di scambio avvenute a livello globale. Si tratta forse di una discesa organica e prevedibile ma sta di fatto che passare dal +1.300% del 2017 all’attuale -15% è un ulteriore segno della forte instabilità del soldo digitale.
Le vere cause
Secondo gli analisti però, dietro il crollo recente c’è dell’altro. Ad esempio il divieto delle banche britanniche e statunitensi di utilizzare le carte di credito dei propri circuiti per comprare Bitcoin, in attesa di regolamentare meglio la faccenda. Tra queste ci sono la Lloyds Banking Group, Citigroup e JPMorgan, che hanno annunciato misure limitative per i propri clienti.
Ma di mezzo ci si mettono anche i governi: in settimana quello indiano ha spiegato di voler rendere le monete digitali illegali per i sistemi di pagamento convenzionali, mentre c’è l’intenzione di governare più da vicino lo scambio di somme criptate, con la chiara volontà di evitare il riciclo di denaro sporco e l’evasione. Per gli esperti, come l’agenzia Centtrip, il nuovo livello base per i Bitcoin dovrebbe assestarsi sui 5 mila dollari, sempre che non vada ancora più giù.