Le ICO sono il peggior nemico dei venture capital?

Le ICO consentono alle startup di raccogliere fondi, vendendo token o criptovalute agli investitori, escludendo l’industria del venture capital che è una tipica fonte di finanziamento per le nuove società. Quali i rischi?

WTF “is an ICO?” Così ha intitolato un articolo sulle Initial coin offering l’autorevolissima testata statunitense TechCrunch a fine maggio 2017. Noi di Data Manager ne abbiamo già ampiamente discusso qualche mese fa ma nel frattempo la raccolta da parte delle startup attraverso le ICO ha superato i 2 miliardi di dollari. È una bolla? E quali sono i rischi legali? E quali quelli strutturali? Per rispondere a queste domande abbiamo chiesto opinioni e delucidazioni a Giovanni Contini, esperto di digital marketing e co-founder di Euklid e a Gianluca Gilardi, uno dei massimi esperti di startup in Italia. Per Contini il rallentamento degli investimenti da parte dei VC su startup basate su tecnologia blockchain è dovuta al fatto che «le startup fintech hanno ideato un metodo diverso per raccogliere soldi: le ICO. Grazie alle ICO, le startup possono vendere monete di una nuova criptovaluta a nuovi investitori, senza dover passare attraverso le regolamentazioni imposte ai VC per raccogliere le somme investite. Questa mancanza di regolamentazioni è abbastanza evidente, e la vendita di alcune ICO è molto aggressiva. I banner su Facebook e i video pubblicità su Youtube sono innumerevoli. Conosco molto bene l’ambiente di chi fa marketing online con modelli di affiliazione. La nuova moda è di promuovere le ICO anche lì. Tutto questo si è tradotto in un investimento totale in ICO maggiore al totale degli investimenti parte dei venture capital».

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UN NUOVO SOGNO PER LE STARTUP

Sembra, infatti, che le startup in questione riescano facilmente a raccogliere denaro da parte di persone che conoscono poco il mondo delle startup, ma che invero sono attratte da lauti guadagni in brevissimo tempo. Per Contini, le ICO sono un sogno per le startup. Vendere nuove monete per raccogliere soldi, senza dover cedere azioni della propria società. Nessuna diluzione, nessun diritto di voto, niente di niente, nessuna tutela per gli investitori. Mark Knopfler cantava: “Money for nothing and the chicks for free”. Si riferiva alle rock star. E un po’ mi viene da pensare che le nuove rock star siano persone come Vitalik Buterin (il fondatore di Ethereum), che si è presentato a una importante conferenza sul fintech spettinato e con una maglietta a dir poco pittoresca. Un grande anticonformista, proprio come le rock star. Le rock star vendono emozioni. E così, anche chi fa le ICO. Entrambi vogliono distruggere il vecchio. Oggi, però questo comporta un rischio, perché chi raccoglie denaro tramite ICO, approfitta di un mondo non regolamentato. O meglio, non regolamentato in buona parte del mondo, visto che paesi come Cina e Corea del Sud hanno già bloccato la vendita di nuove monete. E anche tra quelli che non hanno fermato questi investimenti, molti hanno ammonito dei pericoli, come gli USA».

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LIBERTÀ E BUONA INFORMAZIONE

Non sarebbe meglio che tutti possano investire in qualunque impresa senza limiti imposti da regolamentazioni? «Certamente, non sono nessuno per poter rispondere adeguatamente. Sono spesso a favore della libertà» – spiega Contini. Tuttavia, la libertà necessita di buona informazione. La nostra psicologia ci porta a sognare guadagni facili, e i banner che promuovono la ICO che ci renderà ricchi non sempre sono veritieri. Aprire un nuovo mondo – prima inaccessibile – di investimenti a persone non specializzate porta inevitabilmente a una bolla. Le statistiche parlano chiaro, oltre il 90 per cento delle nuove imprese falliscono. Molti che investono in ICO si scordano di questo, perché nessuno è tenuto a informarli a dovere dei rischi di tale investimento. Inevitabilmente, alcuni dei progetti in questione – quasi sicuramente una buona maggioranza – falliranno. Così funziona il mondo del fare impresa. Inevitabilmente, molte criptovalute figlie delle ICO finiranno per valere zero. Molti risparmi verranno bruciati. La speranza è che perlomeno si impari dall’esperienza almeno questa volta, ma è la stessa speranza che si ha ogni volta che scoppia una bolla. E se davvero fosse una bolla destinata a scoppiare, è inevitabile che anche questo nuovo mondo verrà regolamentato pure da noi».

«ICOs: the best thing since sliced bread?» si domanda l’avvocato Gilardi e continua riflettendo sul mondo finanziario che è in subbuglio: dopo un – forse brusco – risveglio della finanza tradizionale scatenato dalle performance del bitcoin, che pare inarrestabile a fronte di questa impennata nella domanda, molto prevedibilmente si è assistito a un ampliamento dell’offerta di criptovalute, in uno scenario dove i nuovi player non sono (più) motivati da idee innovative nel campo economico e finanziario, ma da una granitica ricerca del profitto. «Siamo passati da Satoshi Nakamoto a un embrionale ecosistema di una miriade di startup che – in alternativa rispetto ai “tradizionali” metodi di finanziamento – ricorrono allo strumento delle ICO per finanziare i propri progetti». Dal punto di vista dei founder – afferma Gianluca Gilardi – dietro alle varie ICO, lo strumento presenta tutti i vantaggi del “money-for-shares” senza però lo svantaggio principale, ossia l’ingresso dell’investor nel capitale sociale, con tutta quella serie di reti di sicurezza ormai consolidate. «Ed è proprio su questo snodo che si gioca la partita della – per così dire – “solida attrattività” per gli investitori, che se da un lato non possono ignorare le prospettive di ritorni sugli investimenti in ICO (“chissà, /proprio quella/ potrebbe essere la criptovaluta che ripeterà le performance quasi stellari del bitcoin”) dall’altro non possono neppure ignorare fideisticamente il fatto che questo nuovo mercato delle “blockchain-based startup” a volte si è rivelato – e continua a rivelarsi – largamente “etereo” (pun intended)».

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E IN ITALIA?

«Dal punto di vista del giurista italiano, le ICO nell’attuale scenario normativo non possono che essere ricondotti al contratto di compravendita» – continua Gianluca Gilardi. «Per gli investitori (VC e non) italiani, le ICO si collocano esattamente al lato opposto dello spettro della tutela e del formalismo rispetto alle prassi più tradizionali di finanziamento delle startup: se da un lato abbiamo un sistema di regole e formalismi ancora rigidi per il trasferimento di quote di partecipazione in società, dall’altro abbiamo le relativamente minori tutele dei contratti sinallagmatici applicabili a prestazioni fortemente immateriali – quali la “consegna”  di una determinata “quantità” di criptovaluta». In uno scenario come quello attuale, l’investimento in ICO non può che essere considerato esclusivamente come speculativo ad alto rischio e le dinamiche che stanno affiorando inducono a temere l’insorgere di una bolla speculativa che ad alcuni ricorda il periodo non proprio per tutti felice delle dot-com, con la differenza che – perlomeno –  «a quei tempi, tali iniziali offerte si muovevano in un framework legale e regolatorio ben definito, mentre il panorama delle ICO è allo stato attuale completamente in divenire. Non a caso, pure la Svizzera – definita da alcuni “il paradiso delle ICO” – ha annunciato che si doterà a breve di un framework normativo relativo proprio a queste attività, segno che l’attenzione del legislatore è ormai desta ovunque e la direzione che potrà prendere è difficilmente prevedibile» – conclude Gianluca Gilardi. «Una bolla cresce rapidamente, deliziandoci con i suoi riflessi brillanti, ma poi scompare alla stessa velocità. É sostenuta solo dall’aria e dal vento». Così scriveva Edward Chancellor, famoso studioso di bolle finanziarie. Ma a dirla tutta le bolle portano innovazione e cambiano dei paradigmi. Quindi, che ben vengano.

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