Il ribelle che cambia, cambiando il mondo

La Blockchain alimenterà la supply chain di tutto il mondo entro il 2025
“Does blockchain hold the key to a new age of supply chain transparency and trust?”

Una decina di anni fa, nel pieno della crisi finanziaria determinata anche da un uso disinvolto e avulso dall’economia reale di strumenti di investimento incomprensibili ai più, le criptovalute hanno cercato una soluzione tecnologica e decentralizzata al predominio del sistema bancario. Bitcoin ebbe addirittura i suoi contraltari politici in manifestazioni come Occupy Wallstreet e continua a portare con sé una patina di eversività decisamente anti-establishment.

Molta acqua è passata sotto i ponti da allora. Il sistema finanziario messo sotto accusa nei giorni drammatici del crack Lehman Brothers ha introdotto nuove regole di controllo. La crisi, in qualche misura e in modo non certo omogeneo, si è attenuata. Ed è curioso vedere – segno che la base tecnologica di bitcoin era molto solida – che lo stesso establishment finanziario che le criptovalute cercava di aggirare, si sta dando da fare per fare di blockchain, il “libro contabile” di bitcoin, uno degli ingredienti più interessanti nella ricetta della trasformazione digitale.

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Le iniziative di ricerca e sviluppo di soluzioni, piattaforme e servizi non riguardano soltanto la frizzante realtà del fintech, sostenuta dall’evoluzione del mercato ma anche dall’introduzione di normative molto aperte sul denaro e le transazioni finanziarie. Anche le banche importanti sono impegnate in prima persona, e non solo nella sperimentazione: diversi progetti sono in fase avanzata.

All’inizio dell’anno, un consorzio di sette banche europee tra cui UniCredit ha firmato un protocollo di intesa per lo sviluppo congiunto di una nuova piattaforma di trading basata su cosiddetti “ledger” distribuiti e rivolta espressamente alla piccola e media impresa. Digital Trade Chain (DTC) renderà più facile e meno rischioso le attività commerciali e gli scambi tra le piccole imprese, specie in un contesto internazionale. Recentemente è stato annunciato che IBM fornirà al consorzio il supporto tecnologico e infrastrutturale necessario, facendo leva sulla partecipazione di Big Blue al progetto di Hyperledger Fabric, una piattaforma blockchain open source gestita dalla Linux Foundation.

IBM, com’era prevedibile, non è il solo colosso lanciatosi nella tenzone del fintech su grande scala, ispirata agli stessi schemi delle criptovalute. Per una Microsoft che questa estate ha annunciato alle imprese il lancio del suo CoCo Framework, che consentirà di sviluppare “enterprise blockchain networks” in ambiente Microsoft Azure, Intel ha scelto di partecipare, anche finanziariamente, a Corda, altro progetto ispirato a blockchain di R3 – società privata americana creata tre anni fa da un trader di Borsa – e molto focalizzato sui servizi per il mondo del banking e del mondo finanziario in generale.

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Tutto questo movimento indica chiaramente che la tecnologia blockchain, forse opportunamente rivisitata, potrebbe essere realmente disruptive nel trasformare il modo di concepire le transazioni e le relazioni d’affari oltre che monetarie. Naturalmente – e la recentissima “stretta” imposta dalle autorità cinesi sulle criptovalute e le “Initial Coin Offering” sviluppate sulla rete Ethereum ce lo ricorda – saranno necessari lunghi ragionamenti sul sistema di regole e di tutele da imporre ai provider di questi servizi. Non mancheranno però le opportunità di business che si aprono nei confronti del mondo fintech italiano. Sarebbe davvero il caso di non perderlo questo treno, magari facendosi dare una mano dal sistema accademico chiamato a formare coder, matematici ed economisti capaci di muoversi in un contesto interdisciplinare.