Il governo ha arrestato un ragazzo che aveva sviluppato una rete per eludere la censura del web. Sono già diverse le persone fermate da inizio gennaio
La Cina fa sul serio. A gennaio di quest’anno il governo aveva fatto passare una legge che vietava l’utilizzo di VPN per aggirare le misure protettive del Great Firewall, il muro digitale che divide gli utenti del paese dal resto del mondo. A causa delle restrizioni, chi si trova nella patria del drago rosso, anche solo di passaggio, non può accedere a numerosi servizi e piattaforme occidentali, come Gmail, YouTube e ovviamente i risultati di ricerca di Google. Il sottobosco degli hacker cinesi si era però attivato sin da subito per diffondere versioni modificate delle VPN più famose, bannate dagli store online e dai negozi di informatica. Se in un primo momento la resistenza sembrava funzionare, nella seconda parte dell’anno la polizia ha calcato pesantemente la mano contro sviluppatori e distributori in proprio, per dare un segnale forte alla popolazione.
Cosa succede
E così, dopo qualche arresto tra la primavera e l’estate eccone un altro che ha coinvolto il giovane Zhao, bloccato a fine agosto e trattenuto in carcere per tre giorni. La colpa, stando alle nuove misure, è quella di aver aggirato il sistema di sorveglianza di internet, con la creazione di una rete privata usata in proprio ma anche venduta ad altri, persino servizi di terze parti. A quanto pare, dopo aver constatato che il suo metodo funzionava, il ragazzo avrebbe chiesto ad amici e conoscenti la volontà di accedere a contenuti conservati all’estero e normalmente visibili fuori dalla Cina.
Appurata la fervida domanda, Zhao riscuoteva 1,50 dollari al mese da ogni cliente, una cifra irrisoria rispetto a ciò a cui siamo abituati. A quel punto la polizia si è indispettita ed è arrivata all’intraprendente smanettone nel giro di poco. Il nome di Zhao si affianca a quello di Deng Jiewei, altro cittadino che aveva ben pensato di accumulare un po’ di soldi offrendo l’utilizzo di una VPN fatta in casa. Per lui si sono aperte le porte del carcere per ben 9 mesi, una sorte simile a quella a cui potrebbe andare incontro l’ultimo arrestato, conseguenza della repressione dilagante in corso a Pechino.