Il famoso client di messaggistica passa le informazioni condivise in rete al governo di Pechino. La conferma arriva dalle policy aggiornate del gruppo
Che la Cina non fosse un paese per i difensori della libertà di opinione e la privacy era risaputo. Il problema è che negli ultimi tempi anche le multinazionali stanno cadendo sotto i colpi delle norme imposte da Pechino, che stanno isolando sempre i cittadini dal resto del mondo. Dopo il fattaccio di fine luglio con protagonista Apple, che si è sbrigata nel rimuovere dall’App Store locale le applicazioni VPN in seguito alle nuove norme delle autorità in materia, questa volta tocca a WeChat facilitare lo spionaggio ai danni degli utenti. Nei giorni scorsi si era vociferato della possibilità che la famosa chat, sviluppata da Tencent, condividesse i dati degli iscritti con il governo e ora abbiamo la prova: le informazioni personali dei clienti appartengono di fatto alla dittatura comunista.
Cosa succede
“Alla piattaforma potrebbe essere chiesto di ricevere, conservare e divulgare le tue informazioni personali per un periodo di tempo prolungato in modo da soddisfare un ordine della corte o altre procedure penali, rispondere alle richieste del governo o di agenzie simili, preservare la sicurezza e i diritti di WeChat e delle compagnie connesse”. Questo è il testo che rispecchia le nuove policy del gruppo, a seguito della volontà di Pechino di ottenere, senza troppi sotterfugi, gli elementi che ritiene più necessari a indagini e operazioni interne. L’app è la più usata come servizio di chat in Cina ed è l’equivalente di WhatsApp per il mercato occidentale. I termini aggiornati non sono altro che una conseguenza della repressione alla libertà di opinione che la Repubblica Popolare sta mettendo in atto da anni e specialmente nell’ultimo biennio. A seguito delle politiche di utilizzo, elementi come nome, cognome, indirizzi email e località potranno essere tranquillamente condivisi con la polizia, anche senza motivazioni di sorta. Un ulteriore smacco alla privacy dei cittadini, già messa a duro rischio con l’innalzamento del Great Firewall e la morsa intorno all’uso e vendita di reti virtuali private.