Con la trasformazione digitale, la RAI diventa una Digital Media Company basata su una profonda integrazione tra Information e Operation Technologies e una sfida per il futuro: “digitalizzare” gli spettatori
La RAI è entrata in un contesto all digital dopo un lungo processo di trasformazione. «Un primo fondamentale passo che è stato necessario affrontare ha riguardato proprio il “core business” della RAI, ossia la produzione di contenuti audiovisivi, che da un modello classico basato su tecniche e strumenti analogici, come i nastri magnetici, è stata completamente informatizzata: si è così colmato il gap più ampio rispetto al passato» – racconta Massimo Rosso, direttore ICT della RAI. «Abbiamo portato molta IT nella produzione televisiva e radiofonica, che oggi sono piattaforme fortemente orientate alla qualità». Secondo Rosso, il modello applicato si può schematizzare in una matrice con una dimensione orizzontale (dove sono disponibili i servizi ICT trasversali e comuni) e una dimensione verticale specifica per i vari mondi: tv, radio, web (con servizi dedicati ai vari canali di distribuzione). Che cosa ha comportato questo cambiamento per la direzione informatica della RAI? «La “rete corporate” è diventata un vero asset strategico» – risponde Rosso. «Una infrastruttura full IP che connette tutti i diversi centri di produzione, le sedi regionali, i corrispondenti all’estero, i luoghi dei singoli eventi. Per esempio, la digitalizzazione della produzione di telegiornali e giornali radio, dove, abbandonate le “vecchie cassette”, tutto è diventato file, ha alla base proprio l’introduzione di questa infrastruttura IP. Come faremmo con un documento di Office, oggi la redazione del TG può trasferire un servizio giornalistico da Bolzano a Roma semplicemente spostando un file».
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Dal make al buy
Un secondo elemento rilevante in questo percorso, prosegue Rosso, riguarda il passaggio, anche per la RAI, da una informatizzazione basata sul “make”, ossia sullo sviluppo di soluzioni legacy, al “buy”, cioè sull’acquisizione di soluzioni dal mercato. «Mentre storicamente l’IT della RAI doveva assicurare soprattutto la parte più strettamente gestionale e amministrativa, oggi, per supportare l’evoluzione in corso, deve poter integrare tutti i processi, anche quelli produttivi, e ciò non più con la mentalità molto specifica del broadcaster televisivo, con le sue soluzioni custom, ma con quella, più aperta, della digital media company». «Questo nuovo approccio ci ha permesso di continuare a svolgere il nostro ruolo, diretto all’efficientamento dei processi interni e di business, implementando e consolidando un’infrastruttura digitale estremamente ampia e variegata, in grado di connettere l’interno e l’esterno dell’azienda, con attenzione anche agli aspetti produttivi. «Sfruttando soluzioni di mercato», sintetizza Rosso, «ci si è potuti così, ad esempio, dotare di soluzioni per la pianificazione dell’offerta, della sua valorizzazione economica e delle risorse produttive necessarie per la realizzazione di programmi e di contenuti. Questa digitalizzazione naturalmente porta con sé la necessità di garantire business continuity e disaster recovery dei processi altamente critici. Al riguardo, si sta ragionando con i colleghi di radio, tv e web sulla possibilità di dotarsi di una infrastruttura di business continuity su territorio romano; al contempo si sta sviluppando un disaster recovery geograficamente remotizzato a Torino».
Internet of people
La digitalizzazione, conclude Rosso, ha permesso alla Rai di entrare in una dimensione completamente nuova, fatta essenzialmente di dati, ottenuti dall’utilizzo dei contenuti trasmessi (dati interni) e dall’impatto che questi stessi contenuti hanno sui loro fruitori (ad esempio dati esterni generati dal pubblico che li commenta), dando luogo a una analisi crossmediale che prende forma attraverso blog, social media, content communities. «Come altre aziende, siamo partiti da una digitalizzazione che ci ha permesso di integrare IT e OT. Da tempo, abbiamo capito che è fondamentale un ulteriore tassello: utilizzare la tecnologia a disposizione per avvicinare il più possibile l’offerta di contenuti alle effettive aspettative del pubblico. Occorre cioè dotarsi degli strumenti di business intelligence più evoluti che consentano di analizzare ed elaborare dati interni ed esterni estrapolandone le possibili correlazioni».
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