Perché #WeChangeIT?

Perché l’innovazione ha bisogno di cambiare musica, ma all’improvvisazione jazz abbiamo preferito il metodo rigoroso dello studio della partitura non per “suonare solo le note necessarie”, ma per ricominciare dall’inizio. Perché invece di farci ispirare da João Gilberto, uno dei maestri della bossa nova, abbiamo deciso di scavare nell’eccellenza delle scuole italiane di liuteria di fine Ottocento e inizi Novecento e nel repertorio della nostra tradizione musicale, mettendo insieme alto e basso, antico e moderno, il ritmo della Tarantella di Giacchino Rossini con l’Hallelujah di Leonard Cohen, magistralmente eseguiti dall’Hathor Plectrum Quartet, che ha firmato la copertina musicale del WeChangeIT Forum 2017

Questione di stile. E perché all’improvvisazione dettata dalla necessità di correre per recupere il tempo perduto, preferiamo la creatività frutto della conoscenza. Perché non abbiamo bisogno di “campioni o eroi digitali” che ci salvino, ma di direttori di orchestra per imparare a suonare insieme la stessa musica. Perché l’innovazione non è neutra, ma la tecnica è connaturata all’uomo. Perché la tecnologia sta modificando così velocemente il mondo delle imprese, del lavoro e delle organizzazioni, ma non ci stiamo occupando dei valori che dovranno orientare le scelte future. Perché il volume dei dati continua a crescere, ma ci vorrebbero parole nuove per dirlo. Perché in Italia, dove ogni cosa è “innovativa”, la trasformazione lascia il posto al trasformismo. Perché l’Industry 4.0 è un treno in corsa: o ci salti sopra o resti tagliato fuori per sempre. Perché si parla da vent’anni di one-to-one marketing, ma oggi finalmente possiamo realizzare il sogno di dare al cliente quello che vuole e ai direttori marketing gli strumenti per farlo. Perché la tecnologia cambia le abitudini, ma non i bisogni e i desideri dei clienti che guidano il mercato. Perché vivere, decidere e fare business in un mondo senza confini dove tutto è connesso, richiede la capacità di guardare lontano per fare le scelte giuste. Perché nell’era della società iperconnessa, il rumore di fondo confonde le parole da ascoltare e capire. E ancora una volta, si tratta di riavviare il “sistema operativo” del Paese.

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Perché l’innovazione non è un punto di arrivo, ma un processo continuo, che richiede di essere coltivato ogni giorno con lo studio, la passione e il confronto, come tra i componenti di una stessa orchestra. Perché nel mondo, c’è un eccesso di ricchezza alla ricerca di idee nuove, startup vincenti e sbocchi produttivi. Perché se la macchina a vapore è stata l’emblema della prima rivoluzione industriale, il futuro ha bisogno di nuova energia: non il vapore che alimentava le locomotive, ma quell’altro “STEAM”, mix di saperi fatto di scienza, tecnologia, ingegneria, arte e manifattura. E l’Italia, che in questo scenario può giocare un ruolo da protagonista.

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Perché la libertà di fare e di essere detta regole nuove. Perché la trasformazione digitale richiede conoscenza, pretende tecnica, reclama coraggio, ma soprattutto esige cultura. Perché la grande fatica della trasformazione si basa sulla capacità di distinguere, di non confondere le cose e di non credere che tutto sia semplice, facile, veloce e prevedibile. Perché siamo testimoni di un cambiamento epocale che non può essere solo tecnologico e deve mettere al centro le persone. Perché tutto questo merita un segno tangibile. E il We Change IT Award è il riconoscimento concreto di questo impegno. Un riconoscimento che per la prima volta Data Manager ha deciso di assegnare ad Altea Federation, nelle vesti della società partner Alterna, per il progetto di digital transformation dell’Aeroporto G. Marconi di Bologna; a Indra in Italia, per la piattaforma paperless di vendita multicanale E2E di una delle principali banche italiane; a Forcepoint, per il progetto di sicurezza e protezione della rete del Comune di Milano; e a Orange Business Services per il lavoro di monitoraggio tramite sensori e connettività M2M di Manitowoc. Perché anche una gru in cantiere può diventare un oggetto connesso e trasformarsi in un servizio.

Guardarsi indietro può servire solo a prendere lo slancio per fare un salto in avanti. Perché in un mondo ricco di informazioni ci sono più opportunità, ma anche più rischi. Forse, dobbiamo trovare il modo di essere noi stessi il cambiamento. Di insegnare agli altri. Di imparare qualcosa di nuovo ogni giorno. Di dare aiuto a chi è in difficoltà. Di ascoltare veramente. Di anticipare le mosse. Di fare le scelte giuste. Di non rimandare sempre a domani. Perché il cambiamento ci mantiene vivi e ci spinge a collaborare. Perché la paura ci fa compiere passi indietro e ci lascia da soli. Perché occorre utilizzare il passato per capire il presente e progettare il futuro, che è diverso da quello che accade quasi sempre: sprecare il presente, temendo il futuro e rimpiangendo il passato. Fra altri vent’anni, l’intelligenza artificiale sarà come l’internet di oggi. Le automobili si guideranno da sole e parleremo ai computer. E quando con il computer ci parli, il digital divide si annulla. Il cambiamento è fuori e dentro le imprese. Un cambiamento che ha bisogno di essere governato perché l’unica cosa che non si può accelerare è la capacità delle persone di adattarsi al cambiamento. E allora bisogna fare come gli alberi: cambiare le foglie, ma mantenere le radici salde al terreno.

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