Nel continuo tira e molla tra USA e Russia sulle responsabilità delle intercettazioni tra stati, il gigante della sicurezza scopre le sue carte
“Se gli Stati Uniti lo vogliono, possiamo concedere il nostro codice sorgente”. Queste sono le parole che Eugene Kaspersky ha rivolto al governo americano, come risposta a chi afferma che il gigante della sicurezza digitale sia al servizio del Cremlino. La questione si è inasprita dopo che gli alti ufficiali del Pentagono hanno ipotizzato un ban per i prodotti della multinazionale russa, considerata un possibile strumento di controllo da parte di Mosca. In che modo? Tramite i software installati in tutto il mondo, che conterrebbero linee di codice in grado di insediarsi nei sistemi e spiare i più reconditi segreti degli utenti. Forse solo una paranoia degna di un buon copione da film di Hollywood ma di questi tempi non fidarsi sembra la scelta migliore in molti casi.
Cosa succede
Non vi è il minimo elemento che faccia pensare a una connessione tra Kaspersky e Putin ma i federali non riescono proprio a dimenticare il passato del magnate formatosi alla scuola del KGB e presso il Ministero della Difesa russo. Sta di fatto che adesso è tutta questione di business ed Eugene non può lasciarsi sfuggire un grosso cliente come il governo a stelle e strisce. Concedendo l’accesso al codice sorgente dei prodotti in uso presso gli uffici della Casa Bianca dislocati un po’ ovunque negli States, spera di poter riconquistare parte della fiducia persa per qualche accusa di troppo, peraltro infondata. Non è dato sapere, almeno per il momento, se gli USA apriranno al dialogo oppure se la decisione di ban nei confronti del software sarà irrevocabile e senza possibilità di ripensamento.