Industria 4.0. Anzi, Società 5.0

Tra i temi prioritari per la competitività del Paese, la manifattura intelligente sta oggi registrando la più forte convergenza di intenti. Classe politica, mondo accademico e tessuto produttivo dimostrano di aver abbracciato una visione integrata, consapevoli che lo sviluppo della quarta rivoluzione industriale non sarà un optional e che, in primo luogo, avrà bisogno di fare sistema. Alla genesi della nostra industria 4.0 ha certamente contribuito una concomitanza di fattori che potremmo definire “fuori dall’ordinario”.

Il Piano Calenda, cui va il merito di aver definito una strategia condivisibile e individuato le risorse, ha infatti trovato due potenti alleati nella politica monetaria ultra-espansiva della BCE e nella disponibilità di tecnologie ormai mature, in grado di abilitare la trasformazione digitale dell’economia. Certo, sarebbe lecito porsi domande sulla durata di tali condizioni e sulla loro futura replicabilità, ma non è questo il punto. Ciò che merita considerazione, qui, è mettere in luce come hanno reagito le nostre aziende e cosa occorre fare, qui e ora, per accelerare sulla via italiana all’Industria 4.0. I segnali positivi non mancano. Tralasciando il caso di distretti e filiere di un Made in Italy che trova il proprio punto di forza nella continua innovazione, in generale l’impegno non si è declinato solo sul versante dello svecchiamento di impianti produttivi la cui età media peraltro, come ci ricorda l’Ucimu, è di 13 anni.

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La metà delle piccole e medie imprese della meccanica e della subfornitura – per citare il dato del MECSPE, fiera di riferimento dell’industria manifatturiera italiana – attesta di avere già messo in campo una strategia per la “fabbrica intelligente” e piani di investimento sul proprio paradigma produttivo. Nel frattempo, il dato Istat di marzo riporta un incremento del 9,2 per cento su base annua degli ordinativi industriali. E ancora: i numeri di Federmacchine, relativi al primo trimestre, indicano un export in ripresa e commesse interne in crescita del 13 per cento, andamento che lascia ben sperare per il resto dell’anno. Gli stessi vertici di Confindustria parlano di ritorno degli investimenti da parte degli associati specie su attività di ricerca e sviluppo, fonte di nuovi brevetti, e sulla digitalizzazione della produzione e dei processi di business.

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In un’era in cui la proliferazione dei dati costituisce di fatto lo standard, due sono ora gli aspetti su cui puntare per dare corpo alla trasformazione. Da un lato c’è una tecnologia, a misura di piccole e medie imprese, da intendere come driver e non come costo. Parlo di cloud, di sicurezza, di consulenza e di Internet delle Cose su cui stanno per innestarsi soluzioni industriali di intelligenza aumentata il cui esempio pratico viene da IBM Watson IoT per la manifattura. Per inciso, la società 5.0 che tutto ciò prefigura avrà bisogno di un vero e proprio cambio culturale, in grado di garantire centralità alle persone, al loro valore e alle loro esigenze. Dall’altro lato ci sono gli ecosistemi aperti all’innovazione collaborativa che coinvolgono partner e startup, nonché le competenze da adeguare ai nuovi bisogni dell’industria che vedono scuole e università fortemente coinvolte. Anche qui, le aziende dell’hi-tech restano in prima fila, offrendo al mondo della formazione e alle stesse imprese il necessario contributo per costruire il futuro del nostro Paese. Ogni sfida, questa inclusa, si vince solo con il gioco di squadra.

Enrico Cereda, presidente e AD di IBM Italia