La cosiddetta rivoluzione 4.0 non risparmia l’industria della salute e la medicina. Roberto Cingolani (IIT): «Certe combinazioni di atomi fanno funzionare i telefonini, altre salvano la vita»
Come attività ad alto contenuto tecnologico, la sanità sarà uno dei settori trainanti per le applicazioni che mettono insieme capacità di calcolo, sensori, intelligenza artificiale, telecomunicazioni e big data, facendo nascere un modo nuovo di fare il medico, di essere paziente, di fare ricerca e di organizzare l’assistenza. Non solo. Come spiega Roberto Cingolani, direttore scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), l’Italia può avere un ruolo da leader nella quality of life per essere il paese dove si vive più a lungo in termini di sostenibilità più elevati, con l’alimentazione migliore del mondo, sistemi avanzati di monitoraggio dell’ambiente e agricoltura di precisione. Eppure, nell’era dell’accesso, della rivoluzione della new economy, si allarga la forbice delle differenze nelle condizioni di salute e longevità delle persone, che «talvolta sono ancora più marcate delle differenze nei livelli di reddito», per usare le parole di Tito Boeri in apertura del Festival dell’Economia di Trento. Per questo, dobbiamo avere degli obiettivi di crescita non solo in termini di PIL nominale, ma soprattutto in termini di trasferimento tecnologico, per creare nuovi modelli sostenibili, ridurre i consumi energetici, utilizzare in modo più efficiente le risorse, diminuire la spesa pubblica sanitaria con l’introduzione di un approccio non reattivo alla diffusione delle patologie, ma predittivo. Lo dimostrano gli studi di Novartis, le specializzazioni di Watson for Oncology, le applicazioni 5G di Ericsson per il decentramento dell’assistenza sanitaria e l’accesso sicuro ai dati. La sanità rappresenta un settore, dove l’applicazione delle tecnologie digitali può avere un ritorno molto elevato. Ma il risparmio – come mette in guardia Domenico Favuzzi, presidente e AD di Exprivia – «non può essere la sola metrica di riferimento».
Cure più mirate e meno costose
La sostenibilità del sistema ha come perno centrale l’applicazione di cure più mirate e meno costose, ottenibili attraverso tecnologie innovative. Alla base di questa trasformazione, ci sono programmi di ricerca, internazionali e interdisciplinari di cui l’Italia dovrà essere parte attiva. L’educazione scolastica deve premiare il merito, la capacità di problem solving e aprire a un approccio aperto del sapere, senza steccati o barriere, anche a livello di collaborazione tra pubblico e privato. «Oggi, spendiamo due punti di PIL per curare patologie neurodegenerative e oncologiche, le prime necessitano di cure molto lunghe, le seconde di cure molto costose» – spiega Cingolani. «Se potessimo intervenire prima, potremmo risparmiare 16 miliardi di euro all’anno. Questo tipo di approccio predittivo permetterebbe non solo di ridurre i costi, ma di portare la diagnostica avanzata dove non ci sono gli ospedali, nei paesi poveri, sviluppando metodi di diagnosi precoce in grado di fare l’analisi genetica in casa come un test di gravidanza».
Salute e disuguaglianza
Il sistema sanitario italiano è nato quaranta anni fa dalle ceneri delle mutue, adottando il modello universalistico britannico. In questo arco di tempo, la medicina si è trasformata, dal punto di vista scientifico, tecnologico ed economico, e ovunque la sanità si è evoluta per cercare di tenere il passo con l’innovazione e la sostenibilità dei sistemi. Il diritto alle cure è riconosciuto in tutta Europa, ma la tutela è praticata in modi molto diversi, anche all’interno di uno stesso paese. Basta pensare alle ormai cospicue differenze tra le 20 Regioni e Provincie autonome italiane. Le differenze di reddito e d’istruzione hanno sempre più rilievo. Chi è più povero di capacità e risorse è più esposto a fattori di rischio per la salute, si ammala più spesso, in modo più grave e muore prima. La salute in Italia è minata da disuguaglianze territoriali e socio-economiche che influenzano pesantemente qualità e durata della vita. «Nel 2060 in Europa, un terzo dei cittadini europei avrà superato i 65 anni, contro l’attuale 18%» – avverte Cingolani. «Il rapporto fra lavoratori (fra i 19 e i 65 anni) e i cittadini non attivi e pensionati (oltre i 65 anni) salirà dall’attuale 26% a oltre il 50% nel 2060. In pratica, il rapporto tra occupati e pensionati sarà di uno a uno».
Salute e nanotech
Si parla tanto di applicazione delle nanotecnologie. «Al miliardesimo di secondo o al miliardesimo di metro» – spiega Cingolani. «La natura vuole che in un miliardesimo di metro in genere ci siano due o tre atomi. Chi fa nanotecnologia di fatto lavora con due, tre atomi. Come dire, l’ingegneria di pochi atomi. Questo tipo particolare di ingegnere è una figura nuova. Da pochi anni, abbiamo le capacità tecniche di intervenire a livello “nano” della materia. E questo ha messo in discussione anche le nostre categorie disciplinari. Io sono un fisico che viene dalla meccanica quantistica, che è alla base di tutto ciò che funziona in natura, ma molto poco intuitiva. Le nanotecnologie ci permettono di utilizzare gli atomi come se fossero dei mattoncini Lego».
Un nuovo paradigma
Dalle nanotecnologie per l’ICT siamo passati alle nanotech per la salute, i nuovi materiali, l’energia, i tessuti intelligenti e così via. Il nanotecnologo può mettere insieme pochi atomi, non importa se si tratta di carbonio, idrogeno e ossigeno, che sono alla base della materia organica, o se si tratta di silicio o di metalli, che sono alla base dell’elettronica. Dai transistor dei telefonini, siamo passati alla progettazione di apparati che possono moltiplicare per un miliardo di volte quella potenza di calcolo. «Possiamo progettare computer che occupano un decimo di una stanza, ma possono elaborare miliardi di miliardi di informazioni al secondo, che poi è quello che fa il cervello umano, utilizzando l’energia di una lampadina da 40 watt, l’equivalente di una barretta di cioccolato» – spiega Cingolani. «Un supercomputer invece consuma 30 megawatt, più o meno quanto una città di 250mila abitanti. In questo modo, si è aperto un nuovo paradigma per cui ricostruendo e riprogettando la materia atomo per atomo siamo in grado di fare cose nuove anche per la salute. In uno smartphone ci sono un miliardo e mezzo di transistor ognuno dei quali è fatto di silicio e mediamente è nell’ordine di 20-30-40 miliardesimi di metro. La sfida è iniziata da uno smartphone, tutto sommato abbastanza inutile, ma la capacità di manipolare pochi atomi per fare un transistor di 20 nanometri non è molto differente dal manipolare una proteina di 5 nanometri. E questo – però – può fare la differenza tra la vita e la morte».
Nuove frontiere
Grazie a questa enorme capacità di calcolo possiamo fare cose in grado di cambiare la vita delle persone. «La prima frontiera – spiega Cingolani – è la progettazione dei farmaci al computer. Oggi, progettiamo le automobili, gli aeroplani, le navicelle spaziali. Un’auto ha un ciclo di sviluppo di 18 mesi. Si simula persino il crash test. Poi si passa al prototipo. Riducendo di moltissimo il time-to-market. Poter fare la stessa cosa con una proteina, significa poter applicare la stessa logica ai farmaci, riducendo costi e tempi di produzione e democratizzando il farmaco stesso». Seconda frontiera: «Immaginate una società perfetta, che ha deciso di organizzare elettronicamente i dati dei propri cittadini. Potremmo avere una banca dati con i profili genetici, gli stili di vita, le cartelle cliniche di tutti gli italiani, l’equivalente di 3-4 iPad pieni. Estrarre informazioni da questa massa enorme di dati è complesso, ma se avessimo una intelligenza artificiale, sufficientemente potente, potremmo incrociare i dati e arrivare a un punto in cui la medicina diventa personalizzata. In altre parole, sulla base del corredo genetico, dello stile di vita, delle abitudini potremmo prevedere con una percentuale di probabilità accettabile, che un signor Rossi qualunque, a un certo punto della sua vita, potrebbe sviluppare una determinata patologia, prevenendo il rischio di ammalarsi, ma al tempo stesso tutelando la privacy, perché se poi lo sa la banca, non gli eroga più il muto, o se lo sa l’assicurazione, non gli rinnova la polizza» – commenta Cingolani. La terza frontiera è la costruzione di organi e tessuti, partendo dalle cellule, “pezzi di ricambio” che possono essere stampati in 3D. «Le nanotecnologie permettono di sviluppare anche degli anticorpi robotici, che possono entrare nel flusso del sangue e veicolare chemioterapici e antinfiammatori, riconoscendo la cellula malata e rilasciando il farmaco in modo intelligente. In questo modo, si può distribuire one-to-one, in modo mirato una molecola di farmaco per ogni cellula malata, riducendo tossicità, effetti collaterali e costi».
Etica e macchine
«C’è un’etica dell’informazione e un’etica delle macchine. Ma l’etica non dipende dall’oggetto che definisce» – ricorda Cingolani. «Dipende dal soggetto che usa gli strumenti. Da chi programma la macchina o da chi scrive le regole di un algoritmo. Ogni tecnologia utilizzata male è sostanzialmente pericolosa. Bisogna essere pronti come società. La scuola e l’informazione hanno un ruolo fondamentale nella diffusione della conoscenza critica. I dati di per sé sono una sequenza di uno e di zeri, raccolti e gestiti da poche persone nel mondo, che hanno un potere enorme. Non dobbiamo mai dimenticare che i “giganti della rete” possono anche essere i “guardiani dell’accesso”. Sarebbe necessario avere una policy globale e comune in materia di dati, soprattutto di quelli sanitari. Perché chi ha i dati può orientare tutto: il mercato, le scelte politiche e la vita democratica di un paese».