Il mondo ICT ha sempre dedicato una parte consistente delle proprie risorse alle applicazioni informatiche. Assistiamo però in questi anni a uno spostamento di baricentro verso il presidio dei dati che queste applicazioni gestiscono. È un processo in forte accelerazione, anche in considerazione di una crescente consapevolezza del fatto che sono le informazioni di cui l’azienda dispone a costituire un patrimonio quanto mai concreto. È facile dire oggi che non poteva essere altrimenti, visto che questo impulso vede l’Italia, come spesso avviene, al traino di altri paesi. È però significativa la rapidità e l’estensione del fenomeno, in particolare in alcuni settori.
Tra i fattori che stanno determinando questo cambio di passo c’è sicuramente la spinta regolamentare, particolarmente nel mercato finance con le normative in materia di vigilanza prudenziale e di gestione dei rischi, ma più generalmente in tutti i settori, come nel caso, per esempio, della protezione dei dati personali. Un contributo viene anche da una maggiore maturità dell’offerta di soluzioni e servizi tecnologici, applicativi, metodologici. Si pensi all’evoluzione delle proposte nell’ambito dei big data, degli advanced analytics, del machine learning. Si pensi all’affermarsi di professionalità come quella del data officer, figura centrale di processi di governo finalizzati a garantire integrità, accuratezza, completezza, disponibilità puntuale dei dati. Oppure quella del data scientist, il cui obiettivo è di produrre informazioni a maggior valore aggiunto partendo dall’enorme mole di dati elementari disponibili. Ed è forse proprio in questa consapevolezza ormai diffusa della catena del valore dell’informazione che sta il punto di svolta. Acquisire un dato ha un costo per l’azienda. Governare un dato (garantendone la qualità, attribuendogli una ownership, definendone una semantica comune a tutta l’organizzazione) ha un costo, interpretare e trasformare il dato grezzo in informazioni utili alla gestione e allo sviluppo del business ha un costo.
Ma al crescere del costo deve aumentare anche il suo valore. Un valore concreto, in molti casi trasformabile in denaro o in oggetto di scambio, che pone anche una serie di implicazioni etiche: la capitalizzazione del valore di una informazione non può andare a discapito dei diritti del soggetto del quale, attraverso questa informazione, viene definita l’identità, vengono descritti il profilo anagrafico, gli attributi sanitari, la posizione finanziaria, i comportamenti e lo stile di vita. La recente normativa europea GDPR per la protezione dei dati personali introduce principi e disposizioni finalizzati a regolare le modalità di gestione di queste informazioni, aggiungendo così un ulteriore onere per le imprese. Cosa è quindi necessario fare per garantire un adeguato trade-off tra opportunità, rischi e conformità alle regole? Per chiudere in positivo il bilancio tra costi da sostenere e valore da sfruttare? Questo è l’obiettivo che la nostra azienda, come certamente altre, si pone da anni.
La risposta sta per noi in una visione olistica, in un approccio basato sui principi fondanti di concretezza e sostenibilità. Ogni intervento progettato ed eseguito lungo la catena del valore dell’informazione, sia esso di data classification, di data quality, di data masking, di revisione dei processi e dei ruoli di governo, viene valutato in termini di costi e di benefici rispetto alle prospettive regolamentari, di mitigazione dei rischi, di valore per il business. Risultati concreti in termini di efficienza possono essere raggiunti in progetti data-focused, definendo correttamente le priorità, finalizzando gli interventi a più di una prospettiva, riducendo complessivamente i costi e, soprattutto, allocandoli tenendo conto del massimo livello di ritorno possibile.
Vittorio Lusvarghi, amministratore delegato di System Evolution