Megaupload e la megafregatura toccata a Mister Goodwin

La vicenda dei sigilli sugli oltre mille computer di Megaupload per violazione della legge sul copyright e quella dei dati bloccati di milioni di utenti. Come bilanciare costi e sicurezza?

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Massimo Boldi, comico ormai vintage e come tale potenziale leader politico alle prossime consultazioni, non ha mai fatto mistero della sua avversione per la pentola a pressione. Animato da spirito umoristico senza avere ambizioni elettorali, ho anch’io i miei pregiudizi. Non mi piacciono le soluzioni “cloud”. Ne riconosco l’economicità e – se vogliamo – qualche comodità funzionale, ma ho sempre il timore che il mio fornitore di servizi mi giochi qualche brutto scherzo. A mutuare Woody Allen, penso al rischio che il tizio prenda i dati e scappi. A questa incombente preoccupazione, da qualche anno se ne è aggiunta un’altra. Accolto con un profondo atto di fede il postulato secondo il quale adeguate misure di sicurezza possano scongiurare aggressioni da parte di qualsivoglia malintenzionato, è sempre più forte il tormento che il patrimonio informativo “collocato altrove” possa diventare irraggiungibile o inutilizzabile. Chi pensa mi riferisca a un orwelliano sbarco di marziani, si sbaglia. Parlo di questioni concrete e mi permetto di prendere in considerazione una fattispecie reale che spiega la legittimità dell’assillo in questione. è la storia di Kyle Goodwin che, pur facendo scattare – analogamente al “Carneade” di Don Abbondio – un fin troppo ovvio “chi era costui?”, può essere foriera di qualche utile riflessione.

Il signor Goodwin aveva una esigenza non lavorativa, ma non per questo meno meritevole di attenzione e di tutela: parcheggiare in modo protetto e “low cost” i filmati delle competizioni sportive di un liceo e creare il suo ambizioso “OhioSportsNet”. Settantanove euro e 99 centesimi per un abbonamento “premium” di durata biennale gli sembravano un occasione da non lasciarsi scappare e, quindi, non ha esitato ad approfittare di una così ghiotta opportunità. Il nostro calendario corre a cinque anni fa. Mister Kyle è felice della soluzione trovata ma la sua gioia inciampa presto. Gli agenti di FBI in Nuova Zelanda arrestano Kim Schmitz, classe 1974, “imprenditore” tedesco di quel di Kiel. Il tizio in questione, un tempo Re Kimble e vivace protagonista di scorribande in rete, è alla sua vita 2.0 e ha cambiato il suo cognome quasi si trattasse di rinominare un file o di mutare l’identificativo di un sito web. Sceglie il casato Dotcom, “punto com” per l’appunto. E’ accusato di aver infranto la disciplina vigente in materia di diritto d’autore e i suoi server vengono sequestrati. Le “macchine” incriminate sono quelle del suo impero digitale Megaupload. Kyle Goodwin è un suo cliente e, come tanti altri fruitori di quel servizio “cloud”, si ritrova escluso dal poter accedere ai suoi contenuti parcheggiati su quella piattaforma remota.

A distanza di un lustro, nonostante le sollecitazioni in contesto giudiziario, i sigilli sono ancora integri e gli oltre mille computer di Megaupload rimangono bloccati. L’avvocato Mitch Stoltz, legale dell’organizzazione per la tutela dei diritti civili Electronic Frontiers Foundation, ha recentemente scritto una mozione in cui lamenta che la Corte abbia respinto gli appelli a far procedere la causa, non considerando che Kyle Goodwin e tante altre persone stanno attendendo da cinque anni la restituzione dei propri dati (che non costituiscono corpo di reato) senza che possa esserci rimedio a breve.

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La vicenda è emblematica e prospetta un rischio che difficilmente viene preso in considerazione quando gli occhi sono calamitati dall’ipnotica convenienza economica. Il risparmio che è possibile conseguire è spesso l’ispiratore di scelte significative che si riverberano sul destino personale, professionale, aziendale. Le considerazioni a più ampio spettro molto sovente non trovano lo spazio che sarebbe loro dovuto. L’avventura dello sfortunato Goodwin evoca l’inossidabile Renzo Arbore con un bicchiere di birra in mano in uno spot pubblicitario del lontano 1980. Quel “Meditate gente, meditate” è più che mai appropriato.