Gli hacker del Cremlino avrebbero colpito 39 stati durante le procedure di voto ma Putin continua a negare
Probabilmente non sapremo mai se l’elezione di Donald Trump sia stata la conseguenza di un hacking ai sistemi elettorali a stelle e strisce. Quello che salta sempre più all’occhio è però il chiaro coinvolgimento degli hacker durante le procedure di voto. L’ultima evidenza scaturisce da un report di Bloomberg, che prova a dare qualche numero della violazione che ha colpito gli Stati Uniti: circa 39 stati sarebbero stati colpiti dall’intrusione, il doppio di quanto rivelato sinora. Ad esempio nell’Illinois ci sono le prove del tentativo di cancellare alcuni voti tramite l’accesso al software usato per registrare le preferenze. Ricordiamo infatti come il sistema elettorale USA non si basa su strutture connesse in rete ma su un’informatica basilare, ovvero sull’utilizzo di programmi per la memorizzazione delle scelte. Ma non solo: sempre nello Stato dell’Illinois, gli hacker avrebbero prelevato le informazioni di circa 90 mila votanti, inclusi nomi e cognomi, date di nascita, sesso e numeri di patenti di guida e social card.
Cosa succederà
Il presidente uscente Obama, in più di un’occasione, aveva alzato il tiro contro le mire cyberbelliche di Putin, che continua a negare qualunque accusa. Nessuno, almeno ai piani alti, lo ha mai ascoltato e ora potrebbe essere troppo tardi. Ad ogni modo, le indagini sul coinvolgimento della Russia nelle elezioni non si fermano. Anzi, dopo l’allontanamento di James Comey dall’FBI, hanno preso una concreta impennata, vista la probabilità che l’ex direttore sia stato allontanato perché a conoscenza dell’intrigo e capace di mettere a rischio l’operato di Trump. Alcuni analisti sono però più cauti, perché sicuri che anche un possibile hacking da parte di Mosca avrebbe generato uno spostamento minimo delle preferenze e non un vero capovolgimento dei risultati elettorali.