Le famiglie delle tre vittime della strage del 2015 hanno accusato Facebook, Twitter e Google di non aver fermato la diffusione pro-Isis online
I famigliari delle tre vittime che hanno perso la vita nella strage di San Bernardino nel 2015 hanno citato in giudizio Facebook, Twitter e Google. Il motivo? Aver permesso allo Stato Islamico di diffondere, in seguito all’attacco, il messaggio di propaganda estremista lungo la rete social. “Per anni gli accusati hanno avuto conoscenza di cosa potessero fare i terroristi, fornendoli account da usare per reclutare nuove persone e attrarre reclute” – hanno spiegato le famiglie di Sierra Clayborn, Tin Nguyen e Nicholas Thalasinos in un documento di 32 pagine consegnato alla corte distrettuale di Los Angeles la scorsa settimana. “Senza l’aiuto di piattaforme come Twitter, Facebook e YouTube, la crescita preponderante dell’ISIS nel corso degli ultimi anni non sarebbe stata possibile” – hanno aggiunto.
Cosa accadrà
In prima battuta, tutte le compagnie hanno risposto negando ogni responsabilità su quanto successo a San Bernardino, spiegando come i ragionamenti che portano a colpevolizzare i servizi social siano molto intricati e potenzialmente pericolosi. In che senso? Evidentemente i big della rete peccano di prontezza quando si tratta di censurare i contenuti che violano le regole delle community ma con questo non si può accusarli di facilitare il messaggio terroristico online. Sarebbe come affermare che le autostrade sono le cause principali degli incidenti stradali quando invece le variabili sono tante e solo in una certa percentuale dipendenti dalla qualità e dal deterioramento del terreno. Di sicuro, visti i milioni di utenti che popolano i social network, c’è sempre una possibilità di connessione tra questi e un attentatore, che magari ha imparato a nascondersi tra le maglie di internet. Censurare tutto e tutti non è possibile, collaborare invece si. Questa è la linea da seguire per vincere il terrorismo; ogni altra strategia sembra solo deleteria e infruttuosa.