Il motore della trasformazione. Reti enterprise e virtualizzazione

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Scardinare le appliance proprietarie grazie alla virtualizzazione. Un obiettivo ambizioso per le telco. Ma anche una necessità. Le tecnologie SDN e NFV alla conquista del mercato. La rete è il motore che abilita la trasformazione digitale e dei processi aziendali. Automazione, flessibilità, scalabilità, sicurezza. La rete deve adattarsi e cambiare per soddisfare le esigenze di agilità del business

I volumi di traffico sulle reti continuano a crescere molto rapidamente trainati dall’impetuosa domanda di mobile data e contenuti multimediali. Secondo il “Cisco Visual Networking Index Global Mobile Data Traffic Forecast Update, 2016-2021” nel 2016 abbiamo raggiunto una media di 72.320 petabyte di traffico IP mensile. Nel 2020, raggiungeremo i 162.209 petabyte, più del doppio. Su scala globale, il traffico dati complessivo crescerà di dieci volte dal 2014 al 2019. Tra cinque anni il volume di traffico sulla rete mobile globale sarà sette volte più intenso di oggi. Una vera e propria esplosione. Con 12 miliardi di oggetti connessi alla rete nel 2021 (erano 8 miliardi nel 2016). Riusciranno le infrastrutture esistenti di comunicazione a tenere il passo? Difficile fare delle previsioni. Di certo, come ci dice Daniela Rao, senior research & consulting director di IDC Italia, negli ultimi anni le reti aziendali delle medie e grandi imprese italiane «sono state messe a dura prova, sia da un punto di vista architetturale che operativo, dalla crescita esponenziale dei device e del traffico dati, dalla proliferazione delle minacce sul fronte della sicurezza e anche dalla progressiva contrazione dei budget destinati agli investimenti ICT».

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Lenta scalabilità, alti rischi legati all’innovazione e ambienti legacy tutt’altro che flessibili sono alcuni dei fattori che rallentano – e qualche volta impediscono – la capacità degli operatori di adattarsi alle mutevoli condizioni di un mercato in rapida trasformazione. «Molti dei network manager che noi sentiamo con le nostre survey – conferma Daniela Rao – incontrano giornalmente questi problemi, e hanno cominciato a cercare soluzioni a quest’aumentata complessità, partendo proprio dalla rete quale componente fondamentale su cui poggiano applicazioni e processi che, nel nostro ambiente competitivo, sono destinati ad adattarsi a cambiamenti continui». Ma le telco si dibattono anche con problemi ancora più stringenti. In primo luogo, quello dei costi, che hanno determinato un progressivo declino della redditività per gli operatori TLC di tutto il mondo. Secondo uno studio pubblicato dall’Osservatorio Agcom nel periodo 2010-2014 i ricavi delle principali imprese operanti in Italia sono scesi di oltre il 22 per cento. Nel quinquennio preso in esame, i dati registrano una riduzione del margine operativo lordo (EBITDA), dal 41,9 al 37,6 per cento, e del margine netto (EBIT) delle compagnie, sceso dal 20,9 al 15,1 per cento. Una situazione paradossale. Da una parte la domanda di connettività che non accenna a diminuire e quindi opportunità di espansione e crescita. Dall’altra però la necessità di far fronte al declino degli introiti e allo stesso tempo soddisfare la domanda di innovazione in termini di incremento della capacità di banda e offerta di nuovi servizi. La rete è il motore che abilita la trasformazione digitale e dei processi aziendali. Automazione, flessibilità, scalabilità, sicurezza diventano degli imperativi: nell’impresa del futuro, la rete deve adattarsi e cambiare per soddisfare le esigenze di agilità del business contribuendo anche a contenere Capex e Opex, spiega Daniela Rao di IDC Italia. «Nelle quasi 180mila aziende italiane multi-sede, gli investimenti per la trasformazione e la progressiva automazione della rete (LAN/WAN) sono diventati una delle priorità nel prossimo futuro, sia a livello di data center sia a livello di “branch” (filiale o sede periferica collegata), su rete fissa, wireless (Wi-Fi) e mobile». La prima opzione dunque è quella di investire nelle reti. La seconda quella di muoversi verso la virtualizzazione. Passando dalle tradizionali infrastrutture centrate sull’hardware verso software open, virtualizzato e in cloud. Un percorso irto però di ostacoli. A partire dalle resistenze opposte dal ristretto numero di produttori di hardware, che operano spesso in regime di semimonopolio e il cui interesse ad aprire all’innovazione i loro apparati era, almeno inizialmente, vicino allo zero.

CLOUD E VIRTUALIZAZZIONE CONQUISTANO LE TELCO

Quando si parla di virtualizzazione e TLC si parla di NFV (Network Function Virtualization) e SDN (Software Defined Networking). Due concetti differenti che identificano altrettante tecnologie per riferirsi all’erogazione di risorse computazionali in cloud dal nucleo della rete. Le soluzioni NFV servono a virtualizzare le funzioni di apparecchi di rete dedicati: switch e router, funzionanti su hardware specifici; funzioni che vengono virtualizzate nel software e possono girare su hardware generici. Grosso modo come avviene con la virtualizzazione dei server che diventano macchine virtuali. L’approccio SDN invece è il modello di controllo di tutto il networking di uno o più data center. Controllo che avviene tramite una console software – che ha la stessa funzione dell’hypervisor con le macchine virtuali tradizionali – da cui coordinare, orchestrare sia gli apparati di networking hardware sia quelli fisici. Le soluzioni NFV e SDN, impiegate utilizzando commodity server, sono i rubinetti dai quali sgorgano le risorse – computazionali (CPU, memoria), di storage e di rete – pronte per essere allocate a tutte le funzioni della rete in qualsiasi momento. Un “pool” flessibile di risorse che possono essere distribuite in modo dinamico per consentire all’organizzazione di rispondere efficacemente a picchi di domanda provenienti da sistemi specifici, limitando al minimo lo spreco di risorse.

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Questo paradigma rappresenta un importante passo in avanti rispetto al modello statico di provisioning delle risorse. Infatti, prima del cloud e della virtualizzazione a ogni apparato hardware corrispondeva una componente software. I sistemi di controllo e le piattaforme di servizio venivano cioè quasi sempre implementate su dispositivi proprietari, la cui componente fisica (hardware) era fortemente integrata con quella logica applicativa (software) che attiva funzionalità specifiche. Un modus operandi sicuramente redditizio per i produttori di apparati, ma con il passare degli anni sempre più gravoso sulla struttura dei costi degli operatori TLC, appesantiti dal proliferare di dispositivi eterogenei, processi di gestione, soluzioni proprietarie. Una situazione complicata, non solo dal punto di vista organizzativo, e a lungo andare difficile da sostenere. L’NFV invece rende possibile la condivisione sullo stesso hardware di più funzionalità di rete (routing/switching, firewalling, intrusion detection, DNS, NAT), disaccoppiandole dalle appliance hardware proprietarie, in modo che possano essere eseguite come software e introducendo, al contempo, maggior flessibilità operativa, grazie a strumenti di automazione per la gestione del ciclo di vita delle infrastrutture e dei servizi. Grazie alle numerose applicazioni immediate – virtualizzazione delle mobile base station, PaaS, content delivery networks – queste tecnologie hanno rapidamente conquistato il centro del palcoscenico. «Nei prossimi cinque anni si prevede che circa il 60 per cento degli hyperscale data center globali integreranno soluzioni SDN/NFV. Nel 2020, il 44 per cento del traffico all’interno dei data center sarà supportato da piattaforme SDN/NFV (rispetto al 23 per cento del 2015) dal momento che gli operatori ambiscono a una maggiore efficienza» – conferma Alberto Degradi, infrastructure architecture leader di Cisco. Un fenomeno che comporterà una significativa migrazione verso il cloud. «Via via che le imprese cercheranno soluzioni più flessibili e meno costose alla complessità emergente – spiega Daniela Rao di IDC Italia – anche la gestione delle reti tenderà a evolvere verso il paradigma cloud, ovvero verso soluzioni per gestire da remoto e da un unico pannello di controllo una rete estesa, a cui si collegano sempre più utenti, con più applicazioni». Secondo IDC le soluzioni per cloud-managed WLAN (infrastrutture e servizi), in Italia raggiungeranno un valore di mercato prossimo ai 50 milioni di euro entro il 2020, rappresentando oltre il 15 per cento della spesa annuale per le reti delle imprese del nostro Paese.

I vantaggi non saranno appannaggio solo degli operatori di rete, ma anche le aziende potranno beneficiarne. A patto però di agire tempestivamente. Per Ettore Cardamellis, chief sales officer di Nest2, l’iperconvergenza fra segmenti un tempo paralleli fra loro (Networking/Security/IT) trascina il mercato su una molteplicità di aspetti e l’intera catena del valore dell’IT ne risulta già impattata. «In uno scenario in cui l’ingegnerizzazione di più tecnologie in un’unica soluzione è fortemente sollecitata dal mercato stesso, il consolidamento del legame fra integratori e vendor, e il saper fare “scelte di campo” chiare e coerenti, sono aspetti che indirizzano in toto lo sviluppo del business». Entro il 2021 coloro che possiederanno un telefono cellulare saranno 5,5 miliardi (Cisco Network Index): più delle persone che avranno un conto in banca (5,4 miliardi), acqua corrente (5,3 miliardi) o linee telefoniche fisse (2,9 miliardi). L’inadeguatezza delle architetture di rete convenzionali, non in grado di adattarsi dinamicamente ai cambiamenti di traffico, delle applicazioni e della domanda degli utenti, rischiano di rallentare la spinta innovativa dell’azienda. «Tutto ciò rende necessario ripensare e semplificare l’architettura e la gestione delle reti – mette in guardia Degradi di Cisco. «Per le aziende, non solo nel nostro Paese, trascurare questo aspetto e non investire in una infrastruttura di networking intelligente significa perdere un vantaggio competitivo forte. Da questo punto di vista, SDN e NFV aiutano a razionalizzare le architetture data center e a snellire i flussi di traffico».

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LIMITI DELLA TECNOLOGIA E OSTACOLI DA RIMUOVERE

Come sempre quando si parla di nuove tecnologie il rischio di esagerazioni e fraintendimenti è alto. Non bisogna dare troppo credito a chi racconta che il modello SDN e le altre tecnologie software-defined, trasformando in una massa indifferenziata di nodi identici i sistemi di networking, risolveranno come per incanto tutti i problemi dei data center. Così come è ingenuo pensare che un cluster di macchine tutte uguali, che gestisce reti, server e storage possa risolvere completamente i problemi degli operatori TLC. Verosimilmente invece, serviranno ancora sistemi specializzati a seconda dei task da raggiungere: virtual appliance di moduli software delle funzioni di rete sviluppati su piattaforme standard; strumenti di centralizzazione delle funzioni di controllo in grado di permettere un monitoraggio ancora più puntuale delle risorse; strumenti capaci di eseguire operazioni avanzate di routing end-to-end per ciascuna applicazione, migliorando al contempo la qualità dei servizi di trasporto offerti.

Il trasferimento dello switching dei pacchetti sulle macchine virtuali, insieme all’implementazione di capacità computazionale per far fronte ai picchi di carico, è sicuramente la risposta a molti problemi. In realtà, la virtualizzazione – oltre ai vantaggi che conosciamo – porta in dote anche latenza e uno strato aggiuntivo di complessità. Non esattamente il massimo per tutte quelle operazioni che richiedono risposte veloci da parte di determinati sistemi. Soprattutto se consideriamo che la velocità di trasmissione dei dati raggiunge livelli sempre più elevati. Sollecitazioni sempre maggiori alle reti (in termini di richieste di velocità nella trasmissione dei dati e crescita dei volumi di traffico, in chiave IoT) probabilmente introdurranno limiti alle capacità dell’SDN. Inoltre, poiché le diverse applicazioni e dispositivi hanno per loro natura diversi tipi di traffico, necessità di banda e parametri di latenza da rispettare, la tecnologia NFV/SDN deve essere in grado di allocare esattamente il tipo di risorse richiesto dalla specifica applicazione. Per qualsiasi rete – infatti – la capacità di riuscire a reggere un numero elevato di connessioni, con una adeguata e affidabile banda e latenza, è fondamentale per erogare un servizio di qualità. Pensiamo al 4G mobile e alla serie di specifiche tecniche richieste (data plane latency; tolleranza sotto all’1% per la perdita di pacchetti, banda garantita per l’utenza, e così via…). Parametri che la tecnologia NFV deve saper soddisfare per poter dialogare efficacemente con essa, attraverso la fornitura di un livello stabile di connessioni, banda e funzionalità di instradamento adeguati. L’idea di partenza delle tecnologie SDN e NFV è che debbano basarsi su standard condivisi e aperti. Che è poi una delle opzioni per consentire a un’unica soluzione software di controllare tanti hardware diversi e creare macchine virtuali gestibili in tutto e per tutto come la loro controfigura hardware, siano essi router o switch. Senza questa apertura SDN e NFV non hanno ragione di esistere.

I progetti di collaborazione tra operatori e community di sviluppo che si sforzano di definire standard comuni hanno nel perseguimento di questo obiettivo la loro principale ragione d’essere. Infatti, resta da risolvere la mancanza di standard per la comunicazione tra le varie componenti della tecnologia NFV, un ambiente multivendor per natura, facendo in modo cioè che le numerose componenti di cui si compone (NFVI, VNF e MANO) siano sempre di più interconnesse e aperte. Occorre perciò riuscire a definire standard aperti che consentano a chiunque voglia metterci mano di far sì che possano dialogare con tutte le diverse componenti dell’architettura senza restrizioni. Un altro obiettivo da raggiungere è quello di riuscire a utilizzare un unico sistema di orchestrazione che agevoli l’interazione tra soluzioni hardware e virtuali. Nell’immediato futuro, telco e aziende avranno sempre di più a che fare con network ibridi, basati su hardware proprietario e servizi virtualizzati. «In Italia è iniziata l’evoluzione dell’infrastruttura di rete verso una piattaforma che abilita la creazione dinamica di nuovi servizi sia per l’operatore stesso sia per terze parti. Ma al momento ci troviamo in un periodo di coesistenza tra due mondi gestionali diversi, «che ancora per qualche anno dovranno garantire l’uniformità gestionale e contemporaneamente sostenere le nuove funzioni dell’evoluzione della rete» – commenta Daniela Rao di IDC Italia. «L’orizzonte della sfida è al 2020 con l’avvento del 5G, che sarà possibile realizzare solo con una spinta virtualizzazione e sempre maggior controllo software, dell’intera infrastruttura delle reti pubbliche».

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Dopo l’IT, l’onda lunga del cloud computing lambisce le coste frastagliate delle TLC. Un fenomeno, secondo i più ottimisti, che cambierà profondamente il settore con «un impatto “disruptive” sul modello di business, le prestazioni di costo e di qualità che gli «operatori TLC 2.0 potranno offrire al mercato» – come afferma Maurizio Dècina, professore emerito del Politecnico di Milano. Ma per apportare i benefici di cui tutti parlano, i vendor dovranno migliorare ancora la tecnologia di virtualizzazione in termini di high availability, scalability, performance e gestione delle capacità, richieste dai carrier. Senza dimenticare infine che la Network Function Virtualization non potrà – se non indirettamente – risolvere il problema di fondo. Il fatto cioè che la stragrande maggioranza delle reti è stata progettata solo per fornire connettività. Reti che – però – faticano a stare al passo con le esigenze di una platea sempre più ampia di utilizzatori e a fronteggiare minacce informatiche sempre più complesse. Sfide che richiedono ancora molti sforzi di analisi e innovazione.


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