E se i dati a disposizione fossero sbagliati?

Miles Soloman

Al cinema e nella realtà le informazioni errate possono portare a conseguenze drammatiche: senza enfatizzare la “prova del nove”, varrà la pena di riscoprire che la certezza del dato è moltiplicatore di sicurezza

La sigla ISS potrebbe dirvi poco. Niente di grave. Anch’io non l’avevo mai presa in considerazione. Ho scoperto cosa si celava dietro quell’acronimo solo quando sono inciampato in quelle tre lettere mentre stavo – come al solito – dando la caccia a qualche storia da raccontare. E così ho appurato che la sigla individua la International Space Station. Stavolta parliamo della NASA, la spettacolare realtà aerospaziale statunitense che recentemente il pubblico “normale” ha rivisto come scenografia dell’opera cinematografica “Il diritto di contare” di Theodore Melfi. Lontana, la romantica corsa alla Luna e troppo distante, anche la conquista del Pianeta Rosso (già impietosamente raffigurata da Corrado Guzzanti nel film “Fascisti su Marte”), nessuno ricordava Houston, Cape Canaveral e altre suggestive località dell’astronautica.

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La pellicola di Melfi, ambientata nel clima segregazionista della Virginia degli anni Sessanta, racconta di tre donne che lavorano a Langley (Katherine Johnson, Dorothy Vaughan e Mary Jackson) e che a diverso titolo “fanno di conto” a supporto del centro di ricerca, surclassando persino i computi eseguiti da ciclopici elaboratori elettronici cui dovevano andare in soccorso. Come ogni volta, quasi fosse un severo e inevitabile rituale, c’è chi si chiederà l’attinenza della vicenda a 35mm con il tema della sicurezza che costituisce il perno di questo storico appuntamento. Se la storia più o meno romanzata delle tre ragazze di colore ha calamitato l’attenzione sull’importanza del fattore umano nei contesti più delicati anche di carattere scientifico, quel che sto per tratteggiare può far addirittura balzare dalla sedia i più scettici.

La vicenda coinvolge due britannici. A differenza delle barzellette “etniche” in cui ci sono sempre protagonisti di più nazionalità, stavolta i due individui hanno la medesima origine e intervengono in tempo e modi differenti. Tim Peake, classe 1972, ex ufficiale elicotterista dell’Esercito di Sua Maestà la Regina, poi collaudatore alla Agusta Westland, selezionato tra oltre ottomila candidati, si è aggiudicato uno dei sei posti nel programma di formazione degli astronauti dell’ESA e poi ha trascorso qualche mese sulla ISS di cui abbiamo parlato nell’incipit. La sua notorietà ha agevolato un piano di sensibilizzazione e di istruzione degli studenti del Regno Unito, che ha generato un loro positivo coinvolgimento in esercitazioni di analisi delle informazioni. E qui salta fuori l’altro eroe della nostra epopea. Il suo nome è Miles Soloman e ha diciassette anni. Liceale alla “Tapton” di Sheffield, ha avuto – come tanti altri suoi coetanei – l’opportunità di leggere ed esaminare un documento messo a disposizione dall’Institute for Research in Schools. Al giovanissimo Miles, è toccato in sorte lo studio di un foglio di calcolo in cui erano riportati i dati relativi ai livelli di radiazione a bordo della Stazione Spaziale Internazionale. A un certo momento è saltato fuori un numero negativo, che lo studente ha ritenuto inammissibile ed eventualmente riconducibile a un’erronea acquisizione di dati da parte dei sensori della ISS. Il ragazzo – senza dubbio armato di capacità straordinarie e di determinazione non comune – non ha esitato a inviare una email alla National Aeronautics and Space Administration.

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Gli scienziati non solo hanno riconosciuto valide le osservazioni dello studente, ma non hanno esitato a invitarlo a fornire collaborazione per la soluzione del problema. Se la medesima umiltà della NASA si andasse ad annidare nelle nostre istituzioni, probabilmente le nuove generazioni potrebbero trovare spazio per esprimere al meglio le proprie capacità. E la sicurezza ne trarrebbe giovamento in ogni sua declinazione.