Nell’ambito delle celebrazioni per il sessantesimo anniversario della firma dei trattati di Roma, istitutivi della Comunità Economica Europea (CEE), il 23 marzo scorso si è tenuto nella capitale il “Digital Day”, organizzato dalla Commissione Europea (CE), dalla sua rappresentanza in Italia e dal Governo italiano, sotto gli auspici della presidenza maltese e del Consiglio dell’Unione Europea (UE). All’evento, altamente simbolico, hanno preso parte i più alti rappresentanti delle istituzioni nazionali e internazionali, del mondo accademico e industriale, nonché esperti di digital technology (DT), ed è stato fatto il punto su come l’UE possa sfruttare la trasformazione digitale per migliorare la vita e l’economia dell’Unione.
«La CEE veniva fondata 60 anni fa sulla base di un mercato comune per il carbone e l’acciaio. Oggi, concentrati sulla DT, ci poniamo lo stesso obiettivo: favorire la crescita sostenibile e la competitività dell’industria attraverso un mercato comune digitale, creando le condizioni perché si possa innovare utilizzando al meglio la digital technology. Puntiamo a un approccio inclusivo per creare occupazione, sviluppo economico sostenibile e coesione sociale» – aveva chiosato pochi giorni prima Roberto Viola, direttore generale della direzione CNECT della CE. Durante l’incontro è stata anche firmata una dichiarazione di cooperazione basata su quattro direttrici: 1) il nuovo mercato del lavoro e le risorse umane; 2) l’industria europea 4.0; 3) il supercalcolo e il relativo ecosistema; 4) la mobilità cooperativa, connessa e automatizzata. Quasi contemporaneamente al Digital Day è uscita la classifica Digital Economy and Society Index (DESI) 2017 che è un indice composito, pubblicato ogni anno dalla CE, per misurare i progressi dei paesi verso l’economia digitale. La classifica considera cinque settori principali (connettività, capitale umano, uso di Internet, uso di tecnologie digitali ed e-commerce, servizi pubblici digitali) che, a loro volta, raggruppano 31 indicatori di dettaglio pertinenti in materia di politiche digitali dell’Europa. Ebbene, l’Italia è al 25esimo posto su 28 paesi ed era nella stessa posizione anche nel 2016. Superiamo di misura la Grecia, la Bulgaria e la Romania, mentre il primo paese è la Danimarca, seguita a ruota dalla Finlandia, Svezia e Olanda.
Un così misero risultato del nostro Paese è dovuto a ben noti fattori, quali: l’utilizzo della DT da parte della PA e la inadeguata erogazione diffusa dei servizi pubblici; le competenze digitali che non sono diffuse a sufficienza; siamo ultimi nelle cosiddette discipline STEM (Scienze, Tecnologia, Ingegneria e Matematica); solo il 6,5% delle PMI vende online per un valore dell’8,2% del fatturato. Per non parlare del problema dell’inglese, e della conseguente mancata internazionalizzazione ed europeizzazione. Tale risultato deve preoccupare non poco perché rischia di compromettere l’intero sviluppo del Paese: visto che oggi, sempre di più, lo sviluppo dipende fortemente dalla digital technology: come negli anni 50, lo fu per il carbone e l’acciaio. Sempre a marzo scorso Diego Piacentini, top manager di Amazon e prima di Apple, è stato nominato digital champion per l’Italia, con il compito di promuovere la trasformazione digitale. C’è sicuramente molto da fare per Piacentini e per il suo team, a cui facciamo i più sinceri auguri! Viene, però, inevitabilmente alla mente la famosa frase che Bertolt Brecht fa dire a Galileo nell’opera che racconta la vita del padre della scienza moderna: «Sventurato è il Paese che ha bisogno di eroi».