Lo spin-off di Huawei vive oramai di luce propria e con l’ultimo aggiornamento mira proprio a scalzare dal trono il brand proprietario
Difficilmente una compagnia “occidentale”, nel senso più strategico del termine, avrebbe fatto una mossa del genere. Honor è un brand di proprietà Huawei, rivolto negli ultimi anni alla fascia di mercato medio-bassa. Con un’idea del genere, la multinazionale cinese si era garantita la copertura di tutti i segmenti smartphone, con linee dedicate a utenti con necessità differenti. Eppure, già dal 2016, Honor ha cominciato a intraprendere un percorso diverso, posizionandosi come uno spin-off in grado di proporre prodotti qualitativamente ottimi e dal prezzo concorrenziale. Non a caso, Honor 8 è stato, ed è ancora, uno dei migliori telefonini Android in circolazione, che nella nuova variante “Pro” si trasforma in un temuto concorrente per tutti, persino per la stessa Huawei. Per quale motivo? Specifiche e design di Honor 8 Pro diventano colonna portante di un terminale che si pone come valida alternativa ai modelli più conosciuti, mantenendo un costo per l’utente finale che gli altri si sognano.
Come è fatto
A poco più di 500 euro (comunque il prezzo più alto raggiunto da un Honor), ci si porta a casa uno smartphone con un display Quad HD da 5,7 pollici (un filino meno del Galaxy S8), processore Kirin 960 (lo stesso di Huawei P10 e Mate 9), ben 6 GB di RAM e 64 GB di storage interno, con estensione microSD. Da lode la batteria che pesa 4.000 mAh, più dei top di gamma dei competitor e le tre fotocamere: una frontale senza particolare lode per i selfie e due sul retro, proprio come sul P10, seppur senza la co-ingegnerizzazione di Leica. Queste consentono di scattare foto di qualità anche in modalità 3D e di registrare video in 4K, un must oramai per i device di nuova generazione.
Ma il concetto più interessante è quello già fatto proprio da Samsung, che ha creato un ecosistema Gear intorno al quale far ruotare i suoi cellulari. Ecco allora che Honor 8 Pro può essere inserito in un paio di visori VR autoctoni (non nei Daydream di Google però) con una piattaforma sviluppata dalla casa da cui prelevare app e giochi, un po’ come l’Oculus Store dei Gear VR.