Aldo Cavalli, la tecnologia come mezzo non come fine

La sfida dello sviluppo oltre i parametri economici. Sua Eccellenza, Aldo Cavalli, nunzio apostolico nei Paesi Bassi: «Non solo connessioni digitali, ma connessioni tra i popoli»

La Pasqua ci ricorda il significato di rialzarsi, di rinnovamento, di trasformazione. Augurare Buona Pasqua significa augurare una rinascita. Nel mondo, merci e capitali possono circolare alla velocità di un click, a differenza delle persone. Continuiamo a parlare di apertura, conoscenza, talento. Comunicazione, trasformazione e collaborazione sono diventate buzzword della cronaca hi-tech, parole che però la Chiesa utilizza da duemila anni, ci ricorda Sua Eccellenza, Aldo Cavalli, nunzio apostolico nei Paesi Bassi nominato da Papa Francesco nel 2015. «La comunicazione implica alcuni componenti fondamentali. Il primo è il contenuto da comunicare. Il secondo è il destinatario. Il terzo, il mezzo che utilizzo. La comunicazione è multicanale e pervasiva. Ogni messaggio può avere un effetto positivo o negativo. Il vero dialogo non può essere sopraffazione, violenza o condizionamento». Nell’era di Internet, in cui dalle comunicazioni sociali siamo passati a quelle “social”, occorre rifondare la comunicazione come personale, uno-a-uno. «Internet è un dono di Dio, ma il mezzo non è soltanto la piattaforma tecnologica che utilizziamo» – mette in guardia Sua Eccellenza.  «È la parola, il fare, l’ambiente che creiamo, l’esempio che siamo capaci di dare. Il Papa utilizza tutti gli strumenti per comunicare. Ma alla base ci sono i valori, non solo cifre e parametri economici».

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Già nunzio apostolico in Cile e Colombia, Monsignor Aldo Cavalli è nato il 18 ottobre 1946 a Maggianico di Lecco, terzogenito di quattro figli di una famiglia di fornai, che poi si è trasferita a Caprino Bergamasco e infine a Ponte San Pietro (Bergamo). Ordinato sacerdote il 18 marzo 1971, ha insegnato Lettere al Seminario di Bergamo. Laureatosi in Scienze politiche, nel 1979 passa alla Segreteria di Stato Vaticana. Ha vissuto in Africa, in Sud America, ed è un profondo conoscitore dell’animo umano. La tecnologia non è neutra. E le piattaforme non possono essere considerati gusci vuoti da riempire, afferma Monsignor Aldo Cavalli. «Occorre mettere insieme strumento e messaggio. La tecnologia è mezzo non può essere fine a se stessa. La riduzione dell’uomo alla semplice somma di energia, materia e informazione, porta alla inevitabile morte del soggetto e a tutte le forme di sfruttamento dell’essere umano».

Personalmente e come giornalista, credo profondamente nel potere delle parole. Credo fermamente nel potere della bontà, della volontà, della responsabilità, della cooperazione. Credo che abbiamo bisogno di lavorare per lasciare un mondo migliore ai nostri figli. Credere è sempre un atto di fede. Credere in noi stessi è il primo passo che possiamo fare per cambiare. Credere è creare. Abbiamo bisogno di un atto di fede in noi stessi, nella forza delle nostre idee, del nostro lavoro e delle persone che lavorano con noi. È possibile crescere solo se guardiamo lontano. Se vogliamo fare di più per la crescita, ciascuno di noi deve fare di più. «La speranza deve essere un esercizio quotidiano». E chi non ha speranza, si rassegna al fallimento. Viviamo in un mondo in cui le differenze diventano ragione di scontro, in cui ogni mezzo è lecito per raggiungere il successo e il denaro, con tassi sempre più elevati di corruzione, disoccupazione e disperazione. Siamo di fronte alla sfida cruciale di ricostruire o reinventare un sistema sociale e politico capace di dare a tutti una vita di successo che non si basi – però – sullo sfruttamento, la speculazione o l’infelicità altrui». Una sfida, ricorda Sua Eccellenza Aldo Cavalli, che riguarda da vicino anche l’Europa, nel sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma: «L’Europa, che ho visto nascere e che oggi sembra incerta e ripiegata su se stessa».

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Data Manager: Perché il mondo sembra bloccato in una crisi che non passa?

Sua Eccellenza, Aldo Cavalli: Perché la crisi stessa è cambiamento continuo. Ci troviamo in un momento di grandi cambiamenti epocali. Siamo in un tempo di discernimento, come ha detto il Papa. La parola crisi ha la stessa etimologia di “crisalide”, di “criterio”, di “creatività”. Sono parole che hanno la radice “cri”, che in sanscrito significa “trasformazione”. Il bruco si trasforma in crisalide. La crisalide è il luogo dove avviene il mutamento. Il verbo divino si fa carne. La verità diventa parola attraverso l’azione. La crisi mette in atto una riflessione personale ed emotiva che ci costringe ad avere di meno o a rinunciare a tutto per essere e rinascere a una vita nuova.

Ma come si cambia senza perdersi?

Per capire bisogna andare alla radice dei fatti e delle parole che usiamo per rappresentarle. Se facciamo riferimento all’etimologia, la parola “crisi” implica una “separazione”, una “cernita” – in pratica – una “scelta”. E davanti alle scelte siamo sempre in crisi. Attraverso le scelte decidiamo chi siamo e cosa vogliamo diventare. La scelta determina un passaggio di crescita, di incontro con l’altro.

Ma quando l’incontro con l’altro diventa scontro?

Le culture sono veramente differenti. Ho vissuto in molti posti nel mondo. E posso dirlo. Ogni cultura ha dei valori di riferimento, dei modelli di pensiero e anche dei disvalori. Ma per entrare dentro quel sistema di valori di riferimento, occorre fare un atto di umiltà per comprenderli da dentro attraverso il dialogo e la capacità di ascolto. Il rispetto dell’altro nasce dall’ascolto. Il dialogo mette in contatto le persone. Questi sono valori profondamente umani. Rispetto, dialogo, libertà sono i valori per vivere insieme. Poi ci sono valori profondamente spirituali. L’amore per il prossimo, la redenzione, la sacralità della vita. L’amore è la forza che ci fa vincere la paura e compiere imprese straordinarie. E l’amore di Dio ci cambia, ci indica la strada e non chiede nulla in cambio.

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Come si fa a vincere l’indifferenza?

Se non ti “prendo con me”, tu rimani estraneo, straniero. E non mi interessa quello che ti accade. Davanti alla tragedia dei migranti e la guerra in Siria non si può restare indifferenti. L’incontro con l’altro nasce dalla comprensione e restituisce dignità. La paura allontana, separa. È lo scambio tra persone che si pongono allo stesso livello e si guardano negli occhi. Il dialogo non è “dialisi”, non è esprimere giudizi a priori.

Perché allora si costruiscono muri?

Perché la paura è più forte del coraggio. L’accoglienza di milioni di persone che scappano dalla guerra o da condizioni di vita insostenibili è l’unica possibilità di futuro che abbiamo per costruire la pace. Ogni forma di barriera, divisione e squilibro è destinata ad alimentare l’odio e la violenza. La tecnologia ci ha abituato ad accorciare le distanze, ad andare sempre più veloce, ma il tempo dell’integrazione e della comprensione non è comprimibile.

Di cosa abbiamo bisogno?

Ci vuole tanto lavoro, fatica quotidiana, pazienza infinita e ci vogliono leader all’altezza di questo compito. E chi vuole rovinare tutto questo lavoro diffonde il terrore con attentati terribili. Ma si tratta di un piccolo gruppo, le cui finalità sono quelle di distruggere il dialogo tra i popoli e alimentare lo scontro.

Quale equilibrio tra conoscenza e informazione?

Senza sapienza è difficile da trovare l’equilibrio. Ci vogliono conoscenza, sapienza e lungimiranza. E abbiamo bisogno di capi che ci conducano attraverso il deserto. Io sono figlio dell’Europa. Sono nato un anno dopo la fine della seconda guerra mondiale. Ho visto costruire l’Europa. Ho visto i miei genitori rimboccarsi le maniche e lavorare sodo. La scuola fino alla quinta elementare, se eri fortunato. Ho visto la dignità del lavoro anche quando era umile. Le persone che lottano per un futuro migliore hanno tutti la stessa luce negli occhi. L’Europa ci ha permesso di uscire dalla povertà e di crescere grazie alla lungimiranza di leader come Robert Schuman e Alcide De Gasperi.

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L’Europa di oggi è ancora quella di Schuman e De Gasperi?

Oggi, ci troviamo davanti alla grande sfida della globalizzazione. Dobbiamo rafforzare l’Europa, che qualcuno vorrebbe demolire, e al tempo stesso siamo chiamati alla sfida ancora più grande di costruire il mondo. L’Europa resta una grande idea, che però ha bisogno di rinnovarsi, cambiando metodi e finalità, sempre restando in contatto con le persone. Il rischio è di tornare indietro e di un impoverimento non solo economico, ma anche nella conoscenza e nelle relazioni. Abbiamo bisogno di leader capaci di guidarci nel futuro, non di scaraventarci in un passato di guerra e di povertà. Gli Stati Uniti d’Europa devono rivendicare un ruolo di guida e di dialogo con il mondo che sta emergendo, con l’Asia, il continente Africano, l’America Latina e con i paesi del Mediterraneo. È con loro, che dobbiamo costruire il nostro futuro.