I ricercatori di San Jose sono riusciti nell’impresa di scrivere (e leggere) un’informazione nella struttura atomica, utilizzando il magnetismo
L’intera libreria di iTunes contiene 35 milioni di canzoni. IBM potrebbe presto caricarle tutte dentro uno storage grande quanto una carta di credito. Non si tratta di una previsione azzardata ma del risultato di quanto realizzato dai ricercatori californiani della multinazionale americana, che sono riusciti a scrivere un bit dentro un singolo atomo, utilizzando la tecnica di compilazione magnetica, già sfruttata per la realizzazione di musicassette, CD, memorie flash, con il vantaggio di essere solida, dunque di lasciare che una volta impressi, gli atomi possano restare fermi dove sono, evitando il rischio di disintegrazione precoce. Non è dunque una novità ma attualmente gli hard disk ospitano un bit all’interno di circa 100.000 atomi, mica uno. Il passo in avanti è dunque decisivo verso la riduzione dello spazio necessario per l’informazione digitale, in un rapporto 1:1.
Il futuro è roseo
Quali conseguenze potrà avere una scoperta del genere? Prima di tutto una maggiore miniaturizzazione dei supporti fisici sia indipendenti (gli hard disk stessi) che all’interno di piattaforme complete, come smartphone e Internet delle Cose. Probabilmente, nel prossimo futuro si procederà con passi graduali, ovvero con l’imprimatur dei bit dentro un numero minore di atomi ma non direttamente sul singolo, come fatto da IBM. Il processo sarà però il medesimo: utilizzare i due poli dei magneti, che formano lo strato da scrivere, per codificare i dati su entrambi, con un’inversione ottenuta facendo passare una certa quantità di corrente tramite un piccolo microscopio, che converte lo stato “0” in “1”, e viceversa. Unito a una superficie di ossido, il singolo atomo di olmio (quello usato dai ricercatori) mantiene una direzione stabile anche in presenza di altri magneti nelle vicinanze, in teoria quelli che contengono altri tipi di informazioni in bit. “Stiamo arrivando alla fine dell’era Moore” – ha detto Christopher Lutz, che ha guidato il team di IBM presso i laboratori di San Jose, in California.