Samsung ha confermato di aver già cominciato a riciclare alcune componenti del phablet dismesso, oltre alla fornitura di device ricondizionati
Al recente Mobile World Congress di Barcellona, poco prima della conferenza dedicata al lancio dei Tab S3, un gruppo di attivisti di Greenpeace aveva manifestato contro il gigante coreano per lo spreco dovuto ai milioni di Galaxy Note7 richiamati in tutto il mondo. La richiesta era semplice: ripensare ai processi di produzione e riciclaggio dei device hi-tech, per impattare il meno possibile sull’ambiente. Detto fatto: Samsung non renderà vano il ritorno a casa dei phablet, impegnandosi ad attivare politiche di riuso e riciclo in linea con i principi di sostenibilità globali. “Abbiamo intrapreso tre strade con cui assicuriamo che i Note7 siano gestiti in maniera eco-friendly” – ha detto la compagnia in settimana. Cosa vuol dire? Scopriamo subito.
Tre passi verso la natura
Il primo punto riguarda la possibilità di sostituire solo le batterie degli originali Note7 per destinare dispositivi ricondizionati a usi specifici, come quelli che prevedono la consegna di muletti ai consumatori durante i periodi di riparazione degli smartphone originali in possesso. Non ci sono indicazione sui mercati verticali e locali dove il programma verrà avviato, molto dipenderà dalle richieste dei consumatori e dalla disponibilità nel breve periodo. Poi, Samsung ha già comunicato di voler salvare alcuni componenti presenti nei phablet ritirati da settembre, come i semiconduttori, sensori e fotocamere, da usare come parti di ricambio o da vendere separatamente ai vendor. Inoltre, la compagnia entrerà a far parte del programma di Ricerca & Sviluppo dell’Unione Europea per sviluppare nuovi metodi di costruzione e dismissione rispettosi dell’ambiente, seguendo le linee guida dettate dalla comunità continentale.