Collaboration e lavoro smart nell’era del cognitive computing e dell’automazione. Che cosa cambia? La parola chiave è virtual company
Concetti come collaborazione e lavoro smart non si riducono più all’uso di strumenti “salva-tempo” ma sono parte integrante della “fluidificazione” dei processi di business fuori e dentro i confini fisici dell’azienda, con tutto l’ecosistema di oggetti connessi. Realtà virtuale e realtà aumentata, comprese. In questo ecosistema, lo smartphone continua a svolgere un ruolo di hub della mobilità, «sempre in continua evoluzione e dove non si può mai parlare di maturità» – come ha messo in evidenza Daniela Rao, Senior Consulting & Research Director di IDC Italia.
«Flessibilità degli spazi fisici e flessibilità dell’organizzazione del lavoro. Negli USA, un lavoratore del terziario spreca in media settemila dollari all’anno per inefficienze nella ricerca e l’archivio di documenti. Fluidificare i processi significa essere più efficienti e le soluzioni di collaboration nei prossimi anni continueranno ad attirare l’attenzione delle medie e grandi aziende. La parola chiave è virtual company. Stiamo andando verso una mobilità multimodulare “Lego-like” con una logica incrementale. Il cloud si trascina dietro tutto. Ma la sicurezza è la priorità numero uno».
Le nuove sfide della collaboration e dello smart working
Collaboration e lavoro smart modificano profondamente l’operatività dell’impresa, la sua capacità di centrare gli obiettivi strategici, di governare la complessità dei progetti e di definire nuove forme di collaborazione e ridistribuzione dei ruoli, interni ed esterni. Mentre all’orizzonte già si intravede quella che potrebbe essere la nuova sfida: il rapporto tra le risorse umane da un lato e le nuove frontiere dell’automazione in fabbrica e dell’informatica cognitiva, come è emerso nel corso della Tavola Rotonda (#DMSmartWorking) organizzata da Data Manager e UniCredit, con la partecipazione di Artsana, BCube, Cisco, Endered, GSD Gruppo San Donato, IDC, Orange Business Services e Versace.
Cisco, dalla collaboration person-to-person a quella machine-to-person
La cultura di un’organizzazione è il fattore determinante di cambiamento anche quando parliamo di smart working. «Stiamo aiutando le aziende del Made in Italy a crescere e a essere più competitive. Occorre liberare risorse di tutti i tipi, quelle economiche certo, ma soprattutto il valore delle persone, oggi bloccato da un modo di lavorare completamente superato» – spiega Michele Dalmazzoni, Collaboration & Smart Industries Leader di Cisco Italy.
«Si tratta di cambiamenti complessi che richiedono tempo e che devono cogliere le occasioni giuste per fare passi avanti. Come la costruzione di una nuova sede o il rifacimento di un building esistente. L’unico approccio in grado di funzionare è quello interdisciplinare tra le diverse divisioni aziendali.
La leadership deve essere esercitata attivamente dal top management, ma esiste anche una spinta dal basso, generazionale, sempre più forte, che è quella dei Millennials che entrano nel mondo del lavoro e lo stanno trasformando profondamente».
Le tecnologie che abilitano e supportano lo smart working possono essere impiegate per indirizzare dei processi verticali anche in ambito industriale. «Le tecnologie sono liquide e flessibili pronte a essere calate in contesti diversi e declinate secondo le esigenze più specifiche» – continua Michele Dalmazzoni.«Per esempio, tutta la parte di co-design, di sviluppo di prodotto e co-innovation richiede strumenti collaborativi che permettano di lavorare come se si fosse nello stessa stanza, utilizzando delle digital whiteboard, unificando i team di lavoro e salvando tutto in cloud. Pensiamo a come un ingegnere può intervenire sulla linea di prototipazione per dare indicazioni, pensiamo all’assitenza remota, pensiamo ai messaggi che possono essere inviati al verificarsi di certe condizioni come un fermo macchina, fino ad arrivare all’ambito della sicurezza».
Per Michele Dalmazzoni parlare di cognitive computing e di automazione legata alla smart working è senz’altro lanciare la palla in avanti andando a toccare delle tecnologie “edge” che stanno entrando nel gioco. «Ci sono sistemi di regia automatici dotati di intelligenza artificiale al servizio della collaboration avanzata che si basano su Face Recognition e Speaker Tracking. Un altro ambito di applicazione interessate è legato ai Boot, che possono svolgere funzioni di assistenza virtuale. Tutto questo permette di passare dalla tipica interazione del mondo collaborativo person-to-person, a una collaborazione che può essere anche machine-to-person».
Orange Business Services, verso la fabbrica virtuale costruita intorno al cliente
Ci sono due modi di approcciare la collaboration e il lavoro smart. Uno dall’alto verso il basso, che coinvolge la strategia, l’organizzazione, la contrattualistica, gli strumenti e le applicazioni a supporto. E un altro dal basso, che riguarda la domanda di flessibilità e agilità che si scontra con la sicurezza e la governance dell’azienda. Il lavoro smart per Bernardo Centrone, Managing Director and Head of Southern and Central Europe di Orange Business Services, significa migliorare la condivisione delle informazioni e la collaborazione tra le persone. Ma significa anche una nuova modalità di lavoro per un accesso sicuro e sistemi applicativi ibridi e scalabili. Per avere successo ci sono tre tappe da seguire. Primo passo: «La scelta della piattaforma». Secondo: «L’operabilità». Terzo: «La scelta del partner».
Bisogna mettere insieme la componente “digital”, dove il software è tutto, e la componente umana, dove la persona resta la parte “smart” del processo. «Stiamo sviluppando l’integrazione di workspace tra persone e robot sia a livello di gestione delle informazioni sia di gestione sulla parte produttiva. Ogni trasformazione parte dall’autonomia e dalla responsabilità. La collaboration e il lavoro smart liberano risorse, tempo di qualità ed efficienza operativa».
Lo smartworking e la collaboration sono inevitabili e non vanno tenuti fuori dalla porta, ma inclusi e gestiti nel modo più vantaggioso e sicuro per le aziende. «Quello che noi suggeriamo è di non affrontarlo tutto in una volta, ma di creare un “proof of concept”, vedere come funziona, definire le metriche e svilupparlo a livello aziendale». Agilità e flessibilità sono due temi tipici dell’industria italiana. «Abbiamo una grande capacità creativa e di customizzazione del prodotto. Per competere – però – abbiamo bisogno di digitalizzare i processi. Abbiamo compreso i temi dell’Industry 4.0, forse in ritardo rispetto ad altri paesi come la Germania, la Francia e gli Stati Uniti. Va bene la politica di incentivazione da parte del Governo, ma «senza un’approccio sinergico – avverte Centrone – rischiamo di vanificare gli sforzi».