The human side of digital, qual è il ruolo delle imprese?

Sulle orme di “The human side of enterprise” di McGregor del 1960, pietra miliare della letteratura manageriale, è in libreria “The human side of digital”, edito da Guerini Next e frutto del contributo di Chiara Colombo (Univ. di Pavia), Alessandro Donadio (Hitrea), Annalisa Galardi (Univ. Cattolica di Milano), Valentina Marini (Hitrea) e Luca Solari (Univ. degli Studi di Milano), con la prefazione di Vittorio Migliori (GSO Company).

Un libro che rappresenta un punto fermo nel percorso di crescita dei suoi autori, ma anche un’occasione di confronto con la business community sui temi dell’innovazione che trasforma e (dis)integra l’organizzazione e il lavoro. Se grazie a McGregor si è compreso il valore del capitale umano in azienda, questo libro porta all’attenzione dei manager il tema del futuro delle organizzazioni nel mondo del digitale.

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Il libro parte da una premessa. Mentre dedichiamo molte attenzioni all’esperienza del cliente attraverso le mille forme di relazione digitale (i blog, i social, il mobile etc.), facciamo molta fatica a capire come modificare la nostra organizzazione, in molti casi ancora troppo rigida e a compartimenti stagni. Il digitale cambia gli strumenti a disposizione e trasforma il modo in cui le imprese competono nel mercato. Il digitale è trasformazione continua, che non coincide però solo con la tecnologia, la velocità delle connessioni, oppure l’interdipendenza dei sistemi, ma con tutte queste cose insieme: gli effetti e le conseguenze di questa trasformazione sono ancora difficili da prevedere.

Gli autori del libro diffidano da chi riconduce il digitale solo a un singolo aspetto dello sviluppo tecnologico o del marketing. Il digitale è un “game changer”, che chiama tutti gli operatori della filiera a giocare la partita in attacco, senza limitarsi a interventi sporadici in difesa. Si tratta di un processo che coinvolge tutta l’organizzazione e che richiede un’accurata pianificazione da parte del top management, che deve essere capace di indicare una strategia chiara. Oltre alle modifiche radicali della vita organizzativa dettate dallo smart working, ce ne sono altre di portata ancora maggiore, capaci di mandare in crisi le modalità più tradizionali di gestione delle risorse umane, con il passaggio necessario dal modello di «comando» e di «controllo» (non più praticabile per il potenziale «anarchico» della tecnologia) a quello di «governo». Così, al management 2.0 viene affidato il nuovo compito, che impone di orientare senza prescrivere, di comunicare e di ascoltare, in un contesto sempre più «social».

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