Secondo PageFair la crescita dell’adozione di blocchi adv è del 30% anno su anno per colpa di un business mai trasparente
Lo scorso anno circa l’11% di tutti gli utenti internet a livello globale avevano installato un software di blocco delle pubblicità. Il motivo? Vivere un’esperienza browsing che fosse la più naturale possibile, togliendo di mezzo banner e fastidiosi pop-up. La percentuale può essere tradotta in quasi 600 milioni di dispositivi, tra cui computer, smartphone e tablet, con una crescita anno su anno del 30%. Stando a un nuovo report di PageFair, gli investitori online, proprio a causa degli ad-block, perdono decine di miliardi di dollari ogni 12 mesi per il mancato ingresso dei ricavi sugli annunci, con la conseguenza di dover ripensare le politiche di marketing.
Equilibrio sottile
Ci va giù pesante il New York Times quando ricorda il pensiero dei più critici: “Usando software che bloccano l’advertising digitale, gli utenti rompono il patto non scritto con i siti e i publisher, molti dei quali vivono grazie alle rendite di banner pubblicitari”. Di certo il sito americano non ha tutti i torti ma c’è da considerare in che modo stratagemmi del genere sono entrati in contatto con il pubblico. Prima attraverso moduli Flash non sicuri, poi tracciando all’inverosimile i cookie e proponendo pedissequamente offerte e inserzioni in ogni dove, restituendo l’impressione che il web sappia fin troppo sui navigatori, monitorando i loro spostamenti ovunque, più del necessario. Insomma, non c’è mai stato un rapporto trasparente di dare e avere, che avrebbe reso più semplice e fruttuoso il compito. Esiste una via di mezzo a tutto ciò? Non per adesso e probabilmente non ci sarà fin quando gli strumenti e le metriche rimarranno queste.