Classifica Top100, i riflessi negativi della crescita debole

La produttività non è tutto, ma nel lungo termine è quasi tutto. Perché indica la capacità di un paese di guardare al futuro. Ce lo ha spiegato Paul Krugman, Premio Nobel per l’Economia nel 2008. La produttività non è solo la misura di ciò che si produce ma di come si produce. E l’innovazione in tutte le sue declinazioni è il fattore che ricombina lavoro e crescita.

Perché la tecnologia non è neutra ma ci trasforma. E perché l’algoritmo per la crescita non esiste (ancora). E quando si semina il cambiamento non è detto che si raccolgano subito i frutti. Anche perché lo stesso concetto di crescita non può essere considerato in termini assoluti. Si tratta di innervare l’innovazione di qualità con il capitale umano e il sistema industriale. I nuovi modelli dettati dalla trasformazione digitale e dall’intelligenza artificiale impongono di riscoprire virtù antiche come l’equità, la generosità, la cura e il coraggio. Ogni Classifica ha un metodo, e ogni metodo, le sue eccezioni. La trasparenza è il criterio fondamentale. Accettare di farsi misurare è anche un atteggiamento di apertura che non fa mai male e aiuta a migliorarsi. Solo l’incertezza (a differenza del rischio) non è misurabile e forse per questo ci mette in crisi. Eppure, quando dai grandi discorsi passiamo a valutare l’esperienza delle aziende sul campo, non sempre troviamo le porte aperte.

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E le parole agilità e flessibilità si trasformano in rigidità e chiusura. In qualche caso addirittura fastidio, che ha messo a dura prova il lavoro di scouting e di analisi di IDC Italia. In questi casi, c’è da chiedersi che fine facciano l’innovazione e il coraggio. Ma a quelli che hanno lavorato un anno intero a mettere in fila i numeri della Classifica Top100, passando in rassegna schede, tabulati e righe di bilancio, non fanno difetto né il senso critico né la pazienza. Semmai resta da chiedersi, (perché siamo i primi a fare domande, anche a noi stessi), se e quanta importanza possa avere una classifica nell’era di Uber e delle startup unicorno. Di certo, mentre la maggioranza dei rapporti sono proiettati in avanti insieme alle speranze di conferma dei segnali (deboli e frammentati) di una definitiva inversione di rotta, la Classifica Top100 offre uno spaccato del mercato con spunti di riflessione diversi.

I titoli di molti big dell’informatica che ritroviamo nelle prime dieci posizioni hanno fatto su e giù nel corso degli ultimi tre anni. Le più blasonate hanno perso un po’ di smalto ma di fatto stabiliscono gli standard, mantenendo la posizione (con qualche scostamento e qualche sorpresa) e facendo bene il loro lavoro di traghettatori della digital transformation, l’unico vento che spinge le vele del mercato IT. Le grandi aziende dettano anche l’ordine del giorno. L’aggregato della Classifica Top100 rappresenta due terzi del mercato italiano, e quindi stiamo parlando di qualcosa che vale poco più di due punti di PIL. La fotografia dell’ultimo anno però resta in territorio negativo. E i segnali più interessanti vanno raccolti tra i “nuovi arrivati”.

La ripresa complessiva osservata nel 2014 sembra essersi bruscamente arrestata nel 2015, con una caduta dei volumi soprattutto nel comparto della pubblica amministrazione e del commercio, mentre il settore finanziario e quello dei servizi continuano a sostenere positivamente i risultati del settore. Il livello è ancora superiore a quello degli anni peggiori dell’ultimo quinquennio, in altre parole rispetto al livello minimo del 2012 e del 2013, ma in tutti i casi la battuta d’arresto è importante – come mette in evidenza Giancarlo Vercellino, IT research & consulting manager di IDC Italia – e si riflette nelle statistiche legate al consolidamento del mercato, con un aumento repentino della concentrazione media dell’aggregato Top100 rispetto agli ultimi quattro anni. Nel solco di una tradizione ben consolidata, la Classifica Top100 si presenta molto dinamica. Ai nuovi ingressi nelle posizioni alte, fa da contrappunto l’uscita di altri operatori per le ragioni più diverse, tipicamente in seguito a processi di fusione e acquisizione, oppure ristrutturazioni aziendali, segnando un momento di discontinuità importante rispetto alla serie storica del dato raccolto attraverso le edizioni precedenti della classifica (come il caso di HP in seguito alla scissione). Discontinuità che però bisogna sapere leggere anche in termini strategici perché arriva sempre il momento in cui bisogna ripartire da zero.

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