Alla Digital Transformation Conference 2016, IDC Italia lancia due chiari messaggi: la digitalizzazione del business è fatta di tanti aspetti – dalla leadership alle persone, dai modelli operativi alla centralità delle informazioni – che da sola la tecnologia, per quanto abilitatrice, non è in grado di risolvere
Alla IDC Digital Transformation Conference 2016, un’intera mattinata per fare il punto sullo stato dell’arte del business digitale e innovativo, ascoltando i racconti di Piergiorgio Grossi, CIO e Digital Transformation Officer di Ducati e di Angela Gemma, Digital Innovation Officer di Deutsche Bank, e le esperienze sul campo maturate dalle aziende sponsor dell’evento organizzato al Centro Svizzero di Milano: Intel, HP, CommVault, Hitachi Data Systems e del provider di servizi di public cloud ServiceNow. «Viviamo in un mondo a 3D» ha esordito Sergio Patano, Research & Consulting Manager di IDC Italia, host e moderatore della conferenza, «non solo perché la stampa tridimensionale comincia a mostrare i suoi effetti anche nell’industria manifatturiera, ma per le tre variabili che caratterizzano il cambiamento dell’IT nell’era della Terza Piattaforma: Dati, Digitalizzazione, Disruption».
Videointervista a Marco Tesini, Country Manager, Hitachi Data Systems Italia
Se oggi stiamo già parlando di Big Data per definire l’esplosione di dati digitali generati dalla moltitudine di dispositivi individuali e dalla quotidianità digitale di miliardi di individui, nel 2020 saremo di fronte, secondo le proiezioni IDC, a un mostro informativo stimato in 44 zettabyte per una popolazione prossima agli 8 miliardi di persone, pari a 5600 terabyte pro capite. Una crescita annua aggregata del 40% alimentata da un volume di dispositivi tendente ai 30 miliardi di oggetti della IoT del futuro, che rappresenta una grande sfida non soltanto in termini di conservazione e messa in sicurezza, ma soprattutto di capacità di messa a valore.
Videointervista a Luca Motta, Print Business Group Director, HP Italy
«I dati sono utili se sono in qualche modo taggati e analizzati» ha sottolineato il ricercatore IDC, ma l’attuale percentuale di dati “valorizzabili”, il 22%, non sembra destinata a cambiare in modo significativo se nel 2020 equivarrà al 38% del totale. Senza contare due ulteriori elementi di criticità che ostacolano la trasformazione in questo dominio. Oggi un documento su due è ancora in forma cartacea e necessita di una fase di acquisizione e primo trattamento, mentre una percentuale ancora più impressionante, l’80%, riguarda i dati che non sono in alcun modo strutturati e che quindi richiedono una sorta di pre-analisi.
Videointervista ad Andrea Luiselli, Enterprise Technology Specialist, Intel Italia
La digitalizzazione del business, ha poi proseguito Patano, rappresenta oggi un approccio attraverso cui un’azienda è chiamata a guidare la trasformazione dei propri modelli di business e del proprio ecosistema anche per mezzo di nuove competenze e tecnologie digitali. Non esiste tuttavia un unico ambito di trasformazione e questo, evidentemente, complica le cose. «IDC è solita dire che la trasformazione digitale ha cinque facce, richiede cioè opportuni cambiamenti a livello di leadership, esperienze vissute internamente e all’interfaccia tra azienda e cliente e azienda e fornitore (esperienza caratterizzata da una buona dose di interattività), impiego delle informazioni, modelli operativi e gestione delle risorse umane e dei talenti». Per IDC tutti e cinque i volti della trasformazione devono essere affrontati con opportune strategie, persone e competenze, anche se non tutti e cinque necessitano dello stesso livello di investimento. In termini di spesa, la trasformazione più costosa e complessa è sicuramente quella che riguarda i modelli operativi, che da soli impegnerebbero quasi il 40% delle risorse investite.
Videointervista a Rodolfo Falcone, Area-Vice President Sales, EMEA South, CommVault
Infine la terza “D”, quella della Disruption. La digitalizzazione ha portato a un radicale rimescolamento di ruoli e soprattutto alla comparsa di nuovi attori, molto spesso aziende innovative e cronologicamente giovani, libere dal peso di meccanismi e infrastrutture ereditati dal passato. Netflix, ha ricordato Patano, non ha avuto bisogno di negozi e scaffali per sconfiggere Blockbuster, AirB’n’B non ha bisogno di hotel per fare concorrenza all’industria alberghiera, Uber non ha mai posseduto un solo taxi. Nelle aziende consolidate, la trasformazione non può avvenire attraverso una completa rottamazione del pre-esistente, bensì facendo prevalere una cultura fatta di nuovi ruoli e di coinvolgimento delle persone. La tecnologia è solo un pre-requisito ma non vale nulla se il cambiamento non investe le figure apicali e la loro capacità di fare squadra, gli aspetti organizzativi e i talenti (e il comportamento) di tutto il personale dell’azienda.