Manager confusi tra algoritmi e neuroscienze

Mentre Bergamo si lascia alle spalle gli anni della crisi con una produzione industriale che torna ai massimi storici e i bilanci delle imprese in netta ripresa, Pier Luigi Celli con il suo libro “Capitani senza gloria” (Codice edizioni, 2016) porta alla luce vizi e virtù dei manager italiani.

Nell’incontro di presentazione della XIV edizione di BergamoScienza, l’autore mette in fila gli «idealtipi» di manager che ha conosciuto nel corso della sua lunga carriera. C’è una parola buona per tutti, ma salvezza per pochi. Egocentrici, arroganti e familisti. Ma i nuovi modelli dettati dalla trasformazione digitale, impongono di riscoprire virtù antiche come l’equità, la generosità, la cura e il coraggio. Le ragioni del declino di molte grandi imprese vanno cercate al proprio interno. Un atto di accusa che non conosce appello. Ma che cosa significa comandare? «Il manager per definizione è un approssimativo» – risponde Celli (nella foto insieme ad Andrea Moltrasio, presidente e cofondatore di BergamoScienza). «Il manager deve fare più cose in meno tempo e con meno risorse. Aggiusta problemi in corso d’opera. Di scientifico c’è poco. La corsa verso l’obiettivo si trasforma in una corsa per il potere. E chi raggiunge il vertice quasi mai vuole avere eredi. Il potere, se non è mediato, scompensa anche le grandi organizzazioni». Il postulato di fondo della teoria dei giochi implica che i decisori siano razionali.

TI PIACE QUESTO ARTICOLO?

Iscriviti alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato.

Ma i manager lo sono? «Il problema della razionalità delle scelte non può essere affrontato se tutta la cultura d’impresa tradizionale pretende di lasciare le emozioni fuori dalle sale riunioni. Nei board non si contempla l’emotività. Le neuroscienze invece ci dicono che l’amigdala gioca un ruolo primario nel processo decisionale. Le decisioni si basano sull’illusione della comprensione, la distorsione retrospettiva e la sopravvalutazione delle valutazioni fattuali». C’è differenza tra incertezza e rischio? «Al rischio possiamo assegnare una probabilità. L’incertezza non è misurabile e quindi ci supera. Per questo i manager sono sempre più confusi. Nelle situazioni critiche, i manager spingono sui meccanismi di controllo che aumentano la rigidità. Di fronte alla complessità, invocano la semplicità come una formula magica. Il manager ideale è colui che si preoccupa del benessere dei lavoratori. Non si tratta di altruismo, ma di egoismo lungimirante. È il momento di cambiare. Il nostro cervello è sociale, la condivisione delle informazioni e delle emozioni è il segreto per vincere l’incertezza».

Leggi anche:  Nasce Indra Group come nuovo brand aziendale di Indra