L’ufficio al seguito

Le nuove modalità di smart working di UniCredit, dalla scrivania “non assegnata” alla nuova formula degli “hub” attrezzati, prenotabili con una app, sono la risposta alla trasformazione digitale

Pensare lo smart working in un grande gruppo bancario non è solo un modo per rispondere con una iniezione di flessibilità e innovazione alle pressioni di costo e complessità legate alla gestione di un esteso portafoglio di immobili direzionali e commerciali (per UniCredit seimila edifici per sei milioni di metri quadri, al 35% adibiti a uffici). Certo, le iniziative prese in quest’ambito da UniCredit – spiega Anna Maria Ricco, head of Real Estate Italy di UniCredit Business Integrated Solutions – impattano anche in questo senso. «Nel periodo che va dal 2008 al 2018 grazie alla ottimizzazione e al rilascio di spazio ottenuti con una strategia di smart working che si traduce anche in una riduzione della quantità di metri quadrati per dipendente, risparmieremo 160 milioni di euro all’anno a livello di gruppo». Non solo. Ottimizzare gli spazi del lavoro significa anche intervenire con ristrutturazioni e interventi tecnologici che permettono anche di abbattere in misura non trascurabile le emissioni di CO2. «Tra ristrutturazioni e vendita di stabili non più occupati, sono 50mila tonnellate di CO2 in meno, ogni anno. Una cifra che incide in modo significativo sulla ambiziosa politica di riduzione dell’impatto ambientale condotta da UniCredit».

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Un’aspettativa diffusa

Il driver principale degli sforzi di riorganizzazione e “deregulation” degli spazi e delle modalità del lavoro, risiede tuttavia nel generale contesto di cambiamento tipico della digitalizzazione e della sharing economy. «Si tratta anche di adattarsi a un nuovo modo di comportarsi delle persone» – osserva la responsabile del Real Estate UniCredit in Italia. Una manovra di avvicinamento al nuovo che per la banca inizia già nel 2011, con una prima ipotesi evolutiva rispetto al precedente passaggio dall’ufficio organizzato in tanti spazi e comparti chiusi, a un modello di open space. Basandosi su una attenta osservazione dei comportamenti negli uffici direzionali a Milano come a Francoforte e in altre sedi europee, gli esperti di UniCredit Business Integrated Solutions hanno studiato le curve di occupazione di 1.500 scrivanie “personali”. «Abbiamo riscontrato che il 72% di quelle scrivanie erano effettivamente presidiate da una persona, e che solo il 45% veniva effettivamente utilizzato per il lavoro. I margini per una revisione del rapporto tra scrivanie e numero di persone c’erano tutti».

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Il potenziale di cambiamento non è affatto una specificità italiana, o tedesca, ma un’aspettativa diffusa, collegata al digital lifestyle di tutti coloro che ancor prima che collaboratori di un’azienda sono consumatori. Tutto questo ha indotto UniCredit a liberare gradualmente i suoi uffici dal vincolo della scrivania assegnata e della cassettiera personale. Ognuno occupa il posto ritenuto più pratico al momento, fino alla possibilità di scegliere se lavorare dall’ufficio, da casa propria o da uno degli innovativi “city hub” che UniCredit sta introducendo in questi ultimi mesi. «Il luogo fisico in cui si trova il lavoratore ha sempre meno importanza. Persino nei messaggi inviati per organizzare i meeting, quello che conta è il link su cui cliccare per collegarsi in videoconferenza, all’interno di uffici virtuali dove è possibile condividere anche la documentazione digitale». La flessibilità del lavoro porta a una riduzione del numero di postazioni in rapporto ai dipendenti: oggi, in media cento scrivanie ogni 120 persone. E con la digitalizzazione crolla anche la propensione alla stampa di documenti cartacei, che diventano solo un impedimento.

L’ufficio su prenotazione

Le implicazioni sono anche di ordine manageriale. «I capi non si affidano più alla tradizionale equazione presenza = lavoro svolto, ma imparano a ragionare per obiettivi misurabili e soprattutto di trust, di fiducia nei dipendenti liberi di organizzarsi nel lavoro di squadra». Oltre alla formula dell’open space e della postazione non assegnata, UniCredit comincia a progettare nuove tipologie di spazio fisico, venendo incontro per esempio alle momentanee esigenze di privacy di chi deve rispondere a telefonate importanti mentre è seduto a un tavolo di una riunione. Si utilizzano strumenti e vere e proprie applicazioni per la gestione di questi spazi estemporanei e condivisi. Persino ai piani alti, quelli occupati dai manager, il concetto di “proprietà” si attenua. I cosiddetti spazi “Office & Meet” degli alti dirigenti, vengono messi a disposizione di gruppi di colleghi quando non vengono utilizzati dal titolare.

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Lo smart working UniCredit si arricchisce così di un’ulteriore formula, l’hub, in cui il dipendente sceglie non solo l’ufficio all’interno dello stabile, ma addirittura la sede da cui operare. «Dopo un primo progetto pilota in due spazi – a Milano e a Cologno Monzese – riqualificati proprio in base ai concetti di flessibilità introdotti per lo smart working, stiamo introducendo nuove strutture in cui i colleghi possono scegliere di svolgere le proprie attività in alternativa alla sede normalmente assegnata».

La squadra Real Estate di Anna Maria Ricco sta già pensando di estendere il concetto di hub sfruttando la capillare distribuzione sul territorio delle filiali UniCredit, in particolare a Roma dove le difficili condizioni del traffico urbano rendono particolarmente attraente l’ipotesi di una sede lavorativa più “tattica” e funzionale. «Una accurata analisi geografica degli spostamenti dei nostri colleghi ci ha portato a concludere che nell’area della capitale non era possibile presidiare gli assi di spostamento focali con spazi ricavati nei palazzi direzionali esistenti. Così abbiamo ripiegato su hub ospitati direttamente nelle filiali corporate e retail». Sei di queste sono state identificate e attrezzate per un progetto pilota che partirà in autunno. Molte, conferma la responsabile dell’organizzazione del progetto, le problematiche da affrontare, inclusa la sicurezza fisica e non solo fisica di strutture che possono essere interessate dalla presenza di importanti volumi di denaro contante. Ma per i dipendenti UniCredit, costretti a lunghi spostamenti casa-ufficio, l’alternativa dell’hub può rappresentare un decisivo vantaggio.

Le interazioni con la smart city

«Da un punto di vista più tecnologico, a supporto del nuovo modello dell’hub lavorativo stiamo introducendo sistemi che consentano, tramite app, di verificare la disponibilità di spazi nelle vicinanze del dipendente e di effettuare la prenotazione, magari introducendo elementi di incentivazione e gamification, come un calcolatore della CO2 non emessa in caso di attività svolta da una sede alternativa». Più in generale, conclude Anna Maria Ricco, l’idea dello smart working si sposa molto bene con quella delle strutture smart e della Internet delle cose: uno spazio di lavoro “virtualizzato”, ad assetto variabile, popolato di sensori che aiutano a efficientare i consumi energetici, a gestire in automatico, in funzione delle presenze rilevate, fattori come l’illuminazione, il riscaldamento, l’aria condizionata. Ma le possibili interazioni riguardano anche i dipendenti di UniCredit, i clienti e i nuovi spazi condivisi dello smart working con gli analoghi spazi pubblici della smart city. UniCredit reagisce alla prima tendenza allestendo nuove filiali (in particolare in piazza Gae Aulenti e in via Carducci, a Milano) all’insegna della trasparenza, eliminando le barriere che in passato tenevano separati gli spazi occupati dall’impiegato o dal cliente. Ma anche partecipando direttamente, con le sue esperienze, alla discussione e alla progettazione della smart city. «UniCredit ha molte cose da dire su questi argomenti – riconosce Anna Maria Ricco – ci siamo mossi prima degli altri, abbiamo studiato. Tanti fanno smart working solo con il tempo flessibile, o lavorando da casa. Noi abbiamo fatto il percorso inverso, siamo partiti dalla rivisitazione degli spazi, abbiamo creato cultura e consapevolezza di un modo di lavorare diverso».

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