Ian Carnelli – Alla scoperta degli asteroidi

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Come deviare la traiettoria degli asteroidi in rotta verso la Terra? Ian Carnelli dell’ESA: «Solo la passione e la collaborazione ci portano lontano»

L’Europa della ricerca e dell’esplorazione spaziale sembra funzionare meglio di quella politica. La Stazione Spaziale Internazionale, la missione Rosetta, da poco conclusa con grande successo, e la missione ExoMars, con il lander Schiapparelli, rappresentano i migliori investimenti in ricerca in termini di ROI. Un euro investito in ricerca di base permette di avere un ritorno misurabile dai 4 ai 5 euro di tecnologia applicata. L’ESA è la porta di accesso dell’Europa sullo spazio, ma rappresenta anche una finestra sul futuro. L’Italia non brilla in cima alle classifiche per gli investimenti in R&D, ma è uno dei partner più apprezzati nei programmi di esplorazione spaziale. Merito soprattutto dei nostri ricercatori che sono nei laboratori di tutto il mondo. La strategia Europa 2020 prevede che i paesi membri contribuiscano a innalzare la quota di investimenti in ricerca e sviluppo al 3% del prodotto interno lordo dell’Unione europea. L’obiettivo stabilito per l’Italia è pari all’1,5% del PIL: ci fermiamo poco sopra l’1,3%. L’Agenzia spaziale europea (ESA) è al lavoro in questo momento con il satellite Gaia che sta facendo una mappa del cielo dettagliatissima che rivoluzionerà le basi dell’astrofisica, moltiplicando di un fattore dieci la conoscenza della quantità di asteroidi potenzialmente pericolosi. Prima dell’era dei viaggi spaziali, gli asteroidi (o meglio Near-Earth Object) erano soltanto dei puntini luminosi. La loro forma e le caratteristiche della superficie rimanevano un mistero. Con la missione Rosetta, l’ESA ha già esplorato da vicino una cometa con il lancio e l’atterraggio di una sonda sulla superficie per analizzarne la composizione. L’ESA si occupa di monitorare l’ambiente spaziale intorno alla Terra utilizzando grandi telescopi, antenne e satelliti con il programma di osservazione SSA.

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Ian Carnelli, ingegnere aerospaziale laureato al Politecnico di Milano, meglio noto come “il cacciatore di asteroidi”, tra gli ospiti più attesi della XIV edizione di BergamoScienza, è responsabile del General Studies Program dell’ESA e si occupa della missione Asteroid Impact Mission (AIM), candidata a essere il nuovo programma dell’agenzia. In collaborazione con la NASA, infatti, è in fase di implementazione il progetto AIDA che ha l’obiettivo di deflettere un satellite naturale di un asteroide fuori dalla sua orbita naturale tramite l’impatto con un veicolo-proiettile lanciato dalla Terra. Come ci spiega Carnelli, la missione nasce come prodotto congiunto di due missioni: AIM dell’ESA e DART, Double Asteroid Redirection Test della NASA. Le due agenzie spaziali hanno convenuto che unire le missioni avrebbe fatto risparmiare i costi e incrementato i risultati scientifici. L’asteroide scelto come obiettivo della missione è 65803 Didymos (un sistema binario, con un corpo principale di 800 metri di diametro) che possiede un piccola luna (di 160 metri) e che passerà a soli 16 milioni di kilometri dalla Terra. La scienza è di fatto una grande attività di investigazione e gli scienziati sono tutti in qualche modo un po’ come Sherlock Holmes alla ricerca di indizi per rispondere alle grandi domande sull’origine dei pianeti del sistema solare di cui questi strani oggetti celesti dalle forme irregolari fanno parte. Secondo la teoria più accreditata, l’impatto di un asteroide sulla Terra avrebbe provocato cambiamenti climatici tali da essere la causa dell’estinzione dei dinosauri 65 milioni di anni fa. Ma ci sono anche superbolidi che possono esplodere vicino alle città come è accaduto nel 2013 a Čeljabinsk, la cui onda d’urto ha provocato migliaia di feriti. Come ci si comporta in questi casi? In un futuro già prossimo, una complessa rete di sensori collegati alla rete di telecomunicazioni potrebbe mandare un segnale di allerta alla popolazione via SMS con le istruzioni di come proteggersi. Nel frattempo, l’ESA ha un sito aperto a tutti dove vengono monitorati gli asteroidi a rischio con le previsioni di impatto. E la questione del calcolo delle probabilità per elaborare modelli predittivi è un nodo centrale. Qual è la probabilità che uno di questi corpi celesti caschi sulla terra? Uno su centomila ovvero 10 alla meno 5. L’attività di osservazione e diminuzione della probabilità di un possibile impatto fanno parte dell’attività del Centro di Coordinamento delle attività asteroidali. Muoversi intorno a corpi piccoli con gravità deboli richiede tecniche molto complesse che sono state sviluppate solo di recente per la missione Rosetta e rappresentano un primato europeo di cui andare orgogliosi.

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Data Manager: Come nasce la missione Asteroid Impact?

Ian Carnelli: La missione è nata nel 2011 quando i colleghi della NASA e l’Applied Physics Laboratory (APL) della Johns Hopkins University ci hanno contattato proponendoci questa collaborazione internazionale che chiamiamo AIDA.

Ma l’ESA aveva già fatto studi dello stesso tipo?

Nel 1999, avevamo già studiato come deflettere un asteroide in caso di impatto. Erano gli anni del film Armageddon. Eravamo avanti rispetto a tutti gli altri e neppure la NASA aveva ancora un programma di questo tipo. Tra le diverse tecniche, l’ESA stabilì che quella dell’impattatore cinetico era la più matura. La missione si chiamava Don Chisciotte, ma il progetto fu messo da parte perché le due sonde erano particolarmente costose e mancavano le condizioni per portare a termine il progetto. Nel frattempo, quella tecnica era diventata una referenza nella comunità scientifica, tanto che il National Research Council (NRC) americano la cita come tecnica da utilizzare per un certo tipo di asteroidi a potenziale impatto.

Una missione congiunta che ha lo stesso obiettivo?

Gli americani della NASA sono interessati a impattare la luna dell’asteroide con una piccola sonda di cinquecento kilogrammi e a modificare il periodo orbitale del satellite attorno al corpo principale. Questo è il nucleo dell’esperimento. La cosa interessante è quella di sperimentare in scala reale la variazione dell’orbita di un asteroide senza modificarne la traiettoria rispetto al sole. Gli americani possono fare il loro test senza di noi. Ma noi siamo interessati ad arrivare sull’asteroide per misurare tutte le proprietà fisiche e dinamiche prima e dopo la deflessione. I parametri ottenuti ci permetteranno di riprodurre l’esperimento su supercalcolatori in modo da calibrare tutti quei modelli che serviranno un domani per progettare una vera missione spaziale per deflettere un asteroide in rotta di collisione con la Terra.

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È più probabile l’impatto di un asteroide o la diminuzione del debito pubblico?

Ci sono scelte che dipendono dalla nostra volontà e altre che non si possono prevedere. Diciamo che la probabilità di morire per un attentato terroristico è una su dieci milioni, mentre nel caso di un asteroide è una su 700mila. Eppure la percezione dell’opinione pubblica è diversa. In tutti i casi, bisogna essere preparati alle conseguenze.

Come riuscite ad analizzare i dati?

Attraverso l’analisi dei meteoriti cerchiamo di capire le proprietà dell’asteroide e come queste cambiano nel tempo. C’è una comunità scientifica in Europa che si occupa di modellizzare impatti ad alta velocità in laboratorio su campioni di roccia a diversa densità e con cannoni ad aria compressa. La stessa community studia anche gli impatti dovuti alla spazzatura spaziale ancora in orbita come i pannelli solari di sonde in disuso che vengono abbandonati.

Quando è previsto il lancio?

Il lancio è previsto a novembre del 2020 dalla Guyana francese, a bordo di un lanciatore Soyuz. Si tratta di una traiettoria balistica molto semplice che raggiunge direttamente l’asteroide un anno e mezzo dopo il lancio. La prima cosa che faremo è la cartografia dell’asteroide con un livello di precisione al centimetro. Saranno i primi dati che trasmetteremo e che saranno molto utili alla NASA per calibrare il loro sistema di puntamento per l’impatto. A Natale del 2022 la missione sarà conclusa.

Qual è il contributo dell’IT all’esplorazione spaziale?

Senza l’IT non avremmo neppure pensato di mettere insieme una missione ambiziosa come AIDA. A tutti i livelli, l’IT riveste un ruolo fondamentale. Basti pensare ai processori di nuova generazione e alla capacità computazionale che permettono ad AIM di essere la prima sonda che navigherà con un sistema di guida completamente automatico. Un altro campo è quello della compressione dei dati per fare misurazioni iperspettrali e trasmetterle a Terra. Anche i tempi di analisi di grandi moli di dati si sono notevolmente ridotti. Tutte le nuove tecniche di collaborazione online hanno cambiato il modo di lavorare in tempo reale e senza confini. Durante la missione, vorremmo portare con noi dei “cubesats”, microsatelliti di dieci centimetri di lato, che si assemblano in moduli di tre e operarli tramite AIM nello spazio profondo. Testeremo anche strumenti di comunicazione ottica e cercheremo di capire se gli asteroidi possono essere una risorsa economica per le attività di mining. Questa missione beneficia dell’eredità importante di Rosetta, come la telecamera di navigazione, il braccio robotico e stiamo utilizzando le immagini vere di Rosetta per calibrare il software di navigazione.

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Che ruolo ha l’Italia nella ricerca spaziale?

L’Italia è all’avanguardia non solo per l’analisi dei dati ma anche nella costruzione dei transpoder. Abbiamo una startup che sta costruendo una nuova antenna parabolica che ci permetterà di comunicare con la Terra in modo completamente innovativo. Si tratta di un’antenna leggerissima, completamente piatta che poterebbe essere stampata sul pannello della sonda e consente flessibilità di comunicazione mai raggiunte prima. L’Italia ha molti punti di forza e tanti giovani talenti che meritano di essere valorizzati e andare avanti. Forse, manca la volontà di spingere tutti nella stessa direzione. Non dimentichiamo che l’Italia ha realizzato il lanciatore VEGA per il lancio in orbita di piccoli satelliti, che su sette lanci ha avuto sette successi. E in America, la stazione spaziale internazionale viene chiamata “italian space station” perché è stata costruita per il 90% a Torino.

Qual è la lezione più importante che ha imparato?

Non sono mai stato uno studente modello. Avevo tanti interessi. Da bambino sognavo di fare l’astronauta. La passione è l’unica cosa che ci porta lontano. Dare fiducia alle persone con cui lavoriamo è il vero segreto del successo. Non si vince mai da soli.