Secondo le previsioni aggiornate di IDC, la spesa worldwide nell’IT crescerà del 3% l’anno fino al 2020. Un dato in linea, almeno per quest’anno, con la crescita del PIL mondiale, che le stime del Fondo Monetario Internazionale indicano al 3,1%. Rispetto a questi numeri, il nostro Paese pare arrancare un po’. Gli ultimi dati ISTAT dicono che il nostro PIL ha ancora una crescita debole, intorno allo 0,8%. Vanno meglio gli investimenti nell’IT: secondo Assinform e Confindustria Digitale, in Italia per quest’anno ci sarà una crescita dell’1,5%, l’anno prossimo dell’1,7% e nel 2018 del 2%.
Cresceranno di più gli investimenti nelle componenti più innovative, legate alla trasformazione digitale: in particolare Big Data (+24,7%), Cloud (+23,2%) e Internet of Things (+14,9%). Questo è importante, perché investire in innovazione permette di creare nuovi spazi di domanda, nel fiacco mercato nazionale. C’è un gap da colmare anche nell’impiego: secondo una classifica pubblicata dalla società americana Glassdoor, tra i venticinque Best Jobs negli Stati Uniti, ben dieci sono nell’IT. Al primo posto, la figura del data scientist, all’undicesimo, quella dell’analytics manager. In Italia, invece, secondo un recente studio di Jobrapido, primo motore di ricerca di lavoro al mondo, la ricerca di personale nell’IT è solo al settimo posto, ben distanziato dalle prime tre posizioni: commercio e grande distribuzione, amministrazione e risorse umane, servizi. Su Linkedin troviamo 15.843 ricerche negli Stati Uniti per analytics manager e 9.827 posti vacanti per data scientist, a fronte rispettivamente di 96 e 129 ricerche in Italia.
Si avvertono, però, timidi segnali di una possibile inversione di tendenza. Un primo esempio: gli investimenti in ricerca e sviluppo, in Italia sono aumentati del 2,3% rispetto all’anno precedente. L’incidenza sul nostro PIL, l’1,31%, è ancora molto al di sotto della media Ue28, che è intorno al 2%, ma la nostra crescita è maggiore rispetto a quella di molti paesi europei. Un altro esempio: il processo telematico, appena introdotto nei tribunali italiani, ha fatto risparmiare allo Stato 60 milioni di euro in un solo anno, e la durata media di un contenzioso civile si è ridotta dai 590 giorni del 2012 ai 538 dello scorso anno. Siamo ancora molto distanti da nazioni come la Germania, dove la durata media è circa un terzo della nostra, ma i fatti dimostrano che se vogliamo sappiamo migliorarci, applicando l’innovazione dove è necessaria.
Per ridurre il gap con le nazioni più virtuose, dobbiamo far crescere la scarsa maturità digitale generale delle imprese, e ridurre limiti culturali e organizzativi. Bisogna investire di più e meglio in tecnologie, ma anche e soprattutto nell’innovazione della gestione delle nostre imprese, partendo dalle PMI. C’è molto spazio di miglioramento: serve supporto di vendor, system integrator e società di consulenza. Inoltre, per ridurre lo skill shortage, servono anche maggiori sinergie tra imprese e università. Secondo Gartner, nel settore delle medie imprese chi eccelle nell’analisi dei dati è in grado di sviluppare maggiore business. È auspicabile, quindi, anche una maggiore sensibilità agli analytics, una maggiore cultura sui what-if dalle risposte rapide e chiare. Infatti, nella crescente complessità del contesto odierno non è più sufficiente lavorare duramente per portare sul mercato il prodotto migliore: sopravvive chi è capace di capire in anticipo i nuovi scenari, e chi vi si adatta il più rapidamente possibile.