Invito a cena esclusivo per il CEO, il CIO, il CTO, il CMO, il CFO, il COO. Se la portata principale è la digital transformation, l’unico ospite che conta davvero è quello più indesiderabile
In un’epoca di cambiamenti tanto repentini quanto paradigmatici, sempre più di frequente si aprono spazi per nuovi processi e nuove funzioni aziendali e di conseguenza anche per nuovi ruoli manageriali, spesso ricondotti al C-level. La trasformazione digitale non fa eccezione a questa regola, e negli ultimi anni si è sentito parlare con sempre maggiore frequenza della necessità di introdurre nuove figure emergenti, come il chief digital officer, il chief innovation officer, il chief data officer e così via. A che punto di elaborazione sono arrivate le imprese europee finora? Come sono stati metabolizzati questi nuovi ruoli negli organigrammi delle aziende del Vecchio Continente? Nel corso dell’ultimo anno, IDC ha intervistato oltre 300 CxO europei, dunque è possibile condividere alcune riflessioni preliminari maturate sul campo. Quando si chiede alle imprese europee quali siano le figure manageriali responsabili della gestione e dello sviluppo di quell’insieme eterogeneo di risorse e processi sia materiali che immateriali, sia analogici che digitali, che a vario titolo vengono ricondotti sotto l’ombrello del concetto della trasformazione digitale, si osserva che soltanto nel 25% dei casi viene indicato uno specifico ruolo aziendale (chief digital officer), mentre nella maggior parte dei casi (oltre il 36%) la responsabilità di guidare le strategie digitali delle imprese ricorre sotto le incombenze di almeno uno dei consueti triumviri aziendali, ovvero, il chief technology officer o il chief information officer oppure il chief executive officer (più o meno in quest’ordine).
Però, per comprendere se il CDO sia effettivamente una figura di temporary management, una figura transitoria incaricata dell’avvio di una nuova business-unit oppure il vertice stabile di una nuova funzione aziendale, occorre incrociare qualche dato in più. Nonostante sia un tema ampiamente dibattuto da tempo, tuttora rimane una annosa questione aperta se a guidare la trasformazione digitale sia l’IT oppure la Line of Business. Sebbene sia difficile trovare una argomentazione decisiva e valida in modo universale a favore di un approccio anziché un altro, è facile osservare quanto la maggiore responsabilità relativa di una funzione sull’altra comunque sia legata a doppio filo con le figure apicali di riferimento per la trasformazione digitale e comunque determini in modo importante il posizionamento organizzativo al C-level. Con differenze più o meno marcate rispetto alla media del campione – dove guida l’IT – la responsabilità è affidata in misura prevalente a figure come il chief technology officer oppure il chief operation officer (oltre ovviamente ai ruoli emergenti del chief innovation officer e del chief digital officer) – mentre dove prevale la LOB – molto spesso il ruolo è conteso fra chief financial officer e chief marketing officer.
Le variabili del cambiamento
Più che determinare a quale figura specifica rivolgersi al C-level, l’ampiezza del processo di cambiamento è una variabile che influenza in modo importante la possibilità di individuare una figura di riferimento per la trasformazione digitale. Quanto più la trasformazione è contenuta nel perimetro di una singola funzione, tanto maggiore è la probabilità di individure un referente specifico (la differenza rispetto al dato medio è di una decina di punti percentuali); viceversa, quanto più il progetto diventa ampio e generale, coinvolgendo l’impresa nel suo complesso, tanto più si riduce la possibilità di avere una vera e propria leadership individuale (la differenza rispetto al dato medio è di qualche punto), e le decisioni vengono veicolate attraverso comitati e leadership collegiali. Se si riesce a compartimentare in modo efficace e convincente i progetti di trasformazione digitale, aumenta in modo significativo il diretto coinvolgimento di figure apicali come il chief executive officer e di ruoli dedicati come il chief digital/ innovation officer.
La politica della cautela e dei piccoli passi sembra l’unica digeribile dagli organigrammi europei. Quando si affrontano i fattori che determinano il successo dei progetti di trasformazione digitale, i manager europei mettono subito in evidenza almeno tre distinte variabili: primo, una chiara visione strategica del contributo che il digitale porta al vantaggio competitivo dell’impresa; secondo, una profonda comprensione delle esigenze e dei comportamenti del cliente quando si muove nel digitale; terzo, una precisa definizione dei benefici che si intendono realizzare a breve e a lungo termine. Soltanto dopo una precisa elaborazione interna su questi punti diventa possibile concepire un percorso e definire un progetto, coinvolgendo le risorse, le competenze e i profili più adeguati per portare a casa un risultato.
Al timone della trasformazione
La figura da assegnare al timone dei processi di trasformazione digitale dipende in misura importante dalla destinazione della nave, ovvero dalle specifiche priorità dei processi di riorganizzazione, dagli obiettivi che si intendono raggiungere attraverso la tecnologia. Senza pretendere di esaurire l’ampio spettro e le multiformi declinazioni di tali trasformazioni, a grandi linee è possibile distinguere almeno tre diverse destinazioni possibili: la creazione di nuovi prodotti/ servizi digitali (o digitally-enabled), il rinnovamento della customer experience (sia delle strategie che dei processi), oppure ancora l’efficienza operativa. Come è ragionevole attendere, a seconda dell’obiettivo si sceglie un diverso timoniere per portare avanti il cambiamento: quando la priorità sono nuovi prodotti e servizi digitali, oppure l’efficienza dei processi, le imprese europee possono rivolgersi a un chief technology officer, mentre quando si guarda alla customer experience possono subentrare profili piuttosto particolari, come i chief strategy officer.
Per comprendere, almeno in parte, quanto può essere conteso l’emergente ruolo aziendale del chief digital officer basta incrociare il dato delle figure che vengono indicate come guida dei processi di trasformazione digitale con il titolo dei rispondenti, osservando quanto spesso, a dispetto della media, ogni C-level ha la tendenza a indicare il proprio ruolo anziché quello degli altri. Di fronte a processi complessi che attraversano trasversalmente diverse funzioni aziendali, capita piuttosto spesso che ciascun rispondente abbia la tendenza a sovrarappresentare il contributo del proprio ruolo (di solito circa il 40% in più rispetto alla media dei dati), tuttavia alcuni ruoli mostrano un interessamento palesemente superiore, come nel caso del chief marketing/ sale officer (oltre due volte e mezzo rispetto alla media), mentre altri sembrano distogliersi volentieri da una ulteriore incombenza, come è il caso del chief executive officer (che tendenzialmente indica il proprio ruolo il 40% in meno della media). Da notare come chi già ricopre un ruolo emergente, si pensi al chief innovation officer oppure al chief digital officer, non mostri una particolare tendenza alla sovrarappresentazione di se stesso, quasi mettendo in evidenza una forte necessità di coordinamento e collaborazione con gli altri CxO quando si affrontano cambiamenti paradigmatici come la trasformazione digitale.
Concludendo, pare proprio che al chief digital officer spetti la sorte del convitato di pietra di Tirso de Molina: nessuno si aspetta che risponda a un invito a cena, eppure molti si affrettano a occupare il suo posto a tavola. E comunque, nel dubbio, nessuno accetterebbe mai un suo invito.
Giancarlo Vercellino, research & consulting manager di IDC Italia