Brexit, business as usual?

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Ha vinto il sì, ma i venture capital sembrano essere di altro parere. Nuove strategie ma soprattutto nuovi vuoti che dovranno essere colmati

Il rientro dalle vacanze è sempre difficile, ma soprattutto ciò che risulta più arduo è riprendere la consapevolezza di tutto quello che è accaduto nei caldi mesi estivi. I riflessi di quelle giornate di sole non mancheranno di risplendere nuovamente nelle lunghe giornate autunnali. Non sembra, infatti, possibile far finta che la Brexit o meglio il sì alla Brexit non sia mai accaduto. La tanto attesa votazione dell’anno è avvenuta e l’esito è stato del tutto inaspettato. Secondo le analisi di luglio e agosto del Financial Times, le società di venture capital a livello globale hanno acquisito decine di partecipazioni in startup tecnologiche inglesi nel periodo immediatamente successivo all’esito del referendum inglese. Secondo i dati raccolti dalle analisi sugli investimenti compiute da Pitchbook per London&Partners, l’organismo di promozione per l’ufficio del sindaco di Londra, le società britanniche specializzate nel settore della tecnologia, hanno attirato ben 200 milioni di dollari di raccolta fondi attraverso 42 offerte poco dopo lo svolgimento del referendum sulla fondamentale decisione per la Gran Bretagna di restare o meno all’interno dell’UE.

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Tuttavia, nonostante il dato di cui sopra faccia ben sperare, non si può nascondere che rispetto al medesimo periodo dell’anno scorso vi sia stato un significativo rallentamento. Solo un anno fa, infatti, circa il doppio delle offerte è stato portato a termine con ben 338 milioni di dollari di investimenti nel capitale di rischio: flussi di denaro che poi si sono riversati nelle startup inglesi. È anche vero però che Darktrace, una società di sicurezza informatica nel Regno Unito, è riuscita ad attrarre più investimenti di qualsiasi altra startup inglese il mese successivo a quello in cui il Regno Unito ha votato per lasciare l’UE, raccogliendo 65 milioni di dollari da parte degli investitori. L’operazione di raccolta fondi è avvenuta sulla base di una valutazione di Darktrace superiore ai 400 milioni. Questi numeri che già sono molto alti non tengono conto poi dell’annuncio fatto dalla giapponese SoftBank che ha accettato di acquistare la più grande società tecnologica della Gran Bretagna, ARM Holdings per 24,3 miliardi di sterline. «Questa è un’ulteriore prova del fatto che Londra è al primo posto quando si tratta di tecnologia e la sua diversità e il suo spirito imprenditoriale continuano ad attrarre investimenti da tutto il mondo» – ha detto il sindaco di Londra, Sadiq Khan. «Questo investimento dimostra che Londra è sempre aperta per il business, aperta a nuove idee e continuerà ad accogliere i migliori talenti da tutto il mondo» – ha aggiunto il sindaco. Eileen Burbidge, partner presso la società di venture capital Passion Capital, ha dichiarato che in ogni caso Londra «resta il più grande centro tecnologico in Europa e continua ad attrarre i migliori talenti e le aziende di tutto il mondo». Non solo. «Questi sono i fattori interessanti per un investitore e ci saranno molte opportunità di investimento nei prossimi mesi e anni a venire».

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Tuttavia, l’ottimismo del signor Khan e della signora Burbidge è in netto contrasto con una recente indagine che ha preso in considerazione oltre 1.200 persone che lavorano nel Regno Unito nell’ambito della tecnologia. È stato riscontrato che quasi il 75% dei leader del settore ritengono che la situazione economica sia destinata a peggiorare e non a migliorare. Tech City UK, l’ente sostenuto dal governo che promuove il settore tecnologico del paese, ha intervistato 1.205 persone che lavorano nel settore della tecnologia tra il 27 giugno e il 5 luglio, con quasi i due terzi degli intervistati rappresentati da fondatori o amministratori delegati. Poco più di un terzo degli intervistati ha definito la situazione attuale “business as usual” dopo il voto Brexit, ma la restante parte ha ammesso la previsione di un ridimensionamento delle proprie ambizioni di crescita a seguito della decisione di lasciare l’UE.

Fondo europeo per gli investimenti

Secondo i sondaggi ante referendum, la comunità Tech britannica era fortemente a favore della decisione di rimanere in Europa, con diverse startup che addirittura hanno dichiarato che avrebbero lasciato Londra, se il Regno Unito avesse votato a favore dell’uscita dall’UE. Le maggiori preoccupazioni nel mondo imprenditoriale si sono rivolte prevalentemente in due direzioni: da un lato la paura di non riuscire in futuro ad attirare in Inghilterra nuovi talenti, e dall’altro le preoccupazioni verso le possibili fluttuazioni della sterlina nonché verso l’accesso delle newco al mercato unico. Da quando la Gran Bretagna è alle prese con la sua decisione di lasciare l’Europa, tuttavia non è stato dato abbastanza rilievo a una questione, in altre parole l’affidamento degli imprenditori su un gruppo di funzionari UE a Lussemburgo. Si tratta del Fondo Europeo per gli Investimenti (FEI). È relativamente una piccola istituzione, con solo 400 dipendenti, ma è sempre riuscita a dare un grande sostegno alle startup del Regno Unito e all’industria del capitale di rischio sottostante. Tra il 2011 e il 2015 il Fondo Europeo ha investito 2,3 miliardi di euro in 144 fondi di venture capital con sede nel Regno Unito ed enti simili, un numero che rappresenta più di un terzo di tutti gli investimenti avvenuti nel settore tecnologico.

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Michael Collins, vice amministratore delegato di Invest Europe, afferma che l’importanza del FEI non può essere sottovalutata. Si tratta di «un enorme investitore nel capitale di rischio e fondi di crescita di capitale in tutta Europa». Per Tim Hames, direttore generale del British Private Equity e di Venture Capital Association, ciò che rende il FEI speciale non è solo la misura del suo sostegno, ma il fatto che sia disposto a continuare a investire negli stessi fondi ancora e ancora. «E il suo ruolo non riguarda solo il momento di vita iniziale delle startup come capitale di avviamento. Si tratta di un persistente investitore a lungo termine» – ha detto Hames. «È un partner vero e proprio piuttosto che un ente destinato solo a gonfiare le valutazioni. Forse, sarà possibile sostituire il denaro, ma come si fa a mantenere la stessa cultura»? Paul Shea, amministratore delegato di Beechbrook Capital, che fornisce finanziamenti a medio-lungo termine per le piccole e medie imprese nel Regno Unito e in Europa, ha ricevuto fondi dal FEI in tre occasioni. Più di recente, il FEI ha investito 30 milioni di euro il primo agosto in un fondo di debito privato Beechbrook. Hanno investito nonostante l’esito del referendum, e siamo molto riconoscenti di questo, ma non è dato sapere se questo trend di fiducia sia destinato a persistere.

L’istituzione di Lussemburgo darà finanziamenti solo dopo un accurato processo di due diligence. Inoltre, secondo la normativa vigente del FEI, i suoi prestiti sono limitati alle nazioni dell’Unione Europea, ai membri dell’Associazione europea così come ai potenziali candidati desiderosi di aderire all’UE. Pertanto, la vera domanda sarà come sostituire il vuoto lasciato dal Fondo Europeo per gli Investimenti. Il Fondo europeo ha cercato per ora di mantenere un tono rassicurante dichiarando che «non cambierà il suo approccio alle operazioni nel Regno Unito», mentre i negoziati per l’uscita britannica sono in corso. Tuttavia, il settore del venture capital teme che il FEI, in pratica, non sarà in grado di ignorare il risultato del voto per molto tempo. Più che altro, i venture capital dovranno iniziare a puntare le loro mire anche al di fuori della Gran Bretagna. Difficilmente, infatti, i venture capital inglesi saranno ben accolti alle porte di Lussemburgo, ma è anche probabile che alla fine tutto si risolva con una stretta di mano tra gentlemen. In fondo il business è sempre business.

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